Discende dall’articolo 23 della Legge 28 febbraio 1987, numero 56, che “l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui all'art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni e integrazioni, nonché all'art. 8-bis del decreto-legge 29 gennaio 1983 n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato". In proposito, i giudici della corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ricordano in sentenza numero 839 del 19 gennaio 2010, come si sia in giurisprudenza più volte ribadito, in linea con la dottrina, che la Legge numero 56 dell’87 abbia prescritto un unico limite alla contrattazione collettiva, chiamata di conseguenza a stabilire il numero percentuale dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. Bisognava infatti che gli ampi poteri della contrattazione, intesi a concedere maggiore autonomia sindacale rispetto al consentito dalla precedente Legge numero 230 del 1962, fossero compensati. Circa la prova dell'osservanza della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati con contratto di lavoro a tempo indeterminato - afferma la Corte - il relativo onere è a carico del datore di lavoro, in base all'articolo 3 della legge numero 230/1962. Perciò, incombe sul datore dimostrare l'obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro.
weekly news 05/2010