“La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società (...) alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini”.
Dunque, la scelta - seppure legittima - di un’azienda di cambio di sede all'interno del territorio della Comunità non può essere causa di perdita della condizione "soggettiva" di assoggettamento all'imposta sul patrimonio di quello Stato. Infatti, la perdita del beneficio, se prevista soltanto per i soggetti che migrano in un altro Stato membro, comporterebbe una violazione del principio della libertà di stabilimento, così come disciplinato all'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
A precisarlo la Corte di Lussemburgo con la sentenza del 6 settembre 2012 relativa al procedimento C-380/11, promosso con domanda pregiudiziale del 18 luglio 2011.
I giudici lussemburghesi analizzando la questione dell'eventuale decadenza e recupero dei regimi "premiali" eventualmente concessi dagli Stati membri, in ipotesi di trasferimento di sede, ritengono che non sia legittimo trattare in maniera differente le società del Granducato che si trasferiscono in altro Stato membro della Comunità Europea, rispetto a quelle che mantengono stabile la propria sede. Soprattutto, non è ammissibile che i contribuenti che cambiano sede siano assoggettabili ad un trattamento tributario meno favorevole, dovuto alla revoca ed al conseguente recupero della riduzione d’imposta sul patrimonio che in precedenza era stata concessa. Si tratta di contribuenti assolutamente “comparabili” secondo la Corte. Da ciò, ne deriva, inoltre, che la concessione del beneficio della riduzione dell'imposta sul patrimonio non possa essere condizionata al fatto che il contribuente rimanga assoggettato all'imposta per i cinque anni successivi alla concessione di tale beneficio.
weekly news 36/2012