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Nessuna sanzione per omessa presentazione della dichiarazione da parte del consulente

Pubblicato il 10 febbraio 2014 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi

Una contribuente, raggiunta da avvisi di accertamento relativi ai periodi d’imposta dal 2006 al 2008 per Irpef e addizionali, presenta ricorso contro l’Amministrazione finanziaria adducendo a propria discolpa il fatto che il Fisco non aveva tenuto conto delle cause di non punibilità di cui all’articolo 6, comma 3. del Dlgs 472/1997, di fronte al fatto che a non aver trasmesso le dichiarazioni dei redditi dei periodi oggetto di accertamento non era stata la stessa imprenditrice, bensì un consulente finanziario da lei incaricato, che non solo aveva omesso di presentare le dichiarazioni fiscali, ma aveva anche presentato delle false ricevute dell’avvenuto invio per le quali è stato denunciato all’autorità giudiziaria.

La Ctp di Milano, con la sentenza n. 379/03/2013, sancisce che l’omessa presentazione delle dichiarazioni, delle quali si è fornita anche falsa certificazione riconducibile apparentemente all’Amministrazione finanziaria, non può essere imputata alla contribuente ma solo ed esclusivamente al consulente che era stato incaricato dell’invio. 

Sono, dunque, applicabili le attenuanti di cui al citato articolo 6, comma 3, che prevede che il fatto non sia punibile visto che il mancato pagamento del tributo è avvenuto per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e tale atto è da addebitare elusivamente a terzi. 

Tuttavia, secondo i giudici milanesi, la contribuente non può avvalersi della sospensione della riscossione prevista dalla Legge n. 423/1995 (art.1, comma 6-bis), dal momento che tale disposizione è applicabile solo nel caso in cui l’omesso versamento possa essere addebitato alla condotta illecita penalmente rilevante di “dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti, iscritti nei relativi albi, in dipendenza del loro mandato professionale” oppure nel caso di comprovate difficoltà di ordine economico. 

Nella fattispecie in esame, invece, non vi è prova della difficoltà dell’imprenditrice di pagare il tributo, oltre al fatto che non vi è riscontro che il professionista a cui è addebitabile la violazione sia iscritto ad un albo professionale. 

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