La Corte di Cassazione è intervenuta in merito al licenziamento per motivi disciplinari, in particolare sul tema della tempestività dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.
Con la sentenza n. 10839/2016 la Corte ha, infatti, ribadito che il requisito dell’immediatezza della contestazione è relativo, ma è importante anche che il datore di lavoro sia in grado di provare sia il momento di conclusione delle indagini sia l’intera successione temporale delle stesse. Il giudizio della Corte giunge in riferimento al caso di un dipendente di un istituto bancario licenziato per aver effettuato alcune operazioni irregolari che però risalgono a quasi due anni prima che venisse aperto il procedimento disciplinare, nonché dopo tre mesi dall’audizione del dipendente.
La Corte di Appello aveva ribaltato la sentenza di primo grado del giudice, dichiarando nullo il licenziamento sia per l’intempestività del recesso, sia per l’insussistenza della gravità degli addebiti. Secondo i giudici, infatti, il datore di lavoro non ha provato le scansioni temporali che hanno condotto dalla prima segnalazione delle operazioni contestate alla conclusione delle indagini.
La Cassazione ha, invece, confermato quanto statuito dal giudice d’appello sull’intempestività della contestazione, sostenendo che grava sul datore di lavoro l’onere “di fornire la prova del momento in cui ha avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore”.