Deve ritenersi illegittimo il licenziamento intimato ad una dipendente che, al rientro dal periodo di astensione per maternità, si sia rifiutata di riprendere servizio presso altra sede rispetto a quella originaria, qualora detto trasferimento sia preordinato all’espulsione della lavoratrice medesima.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, confermando la ricostruzione secondo cui il trasferimento della donna presso altra sede, tra l’altro distante, sarebbe stato plausibilmente finalizzato alla sua estromissione, considerato che il suo stato di madre di un bimbo in tenerissima età, le avrebbe reso impossibile un cambiamento significativo del luogo di lavoro.
A conferma di tale conclusione, il fatto che la società datrice, quando la donna era ancora in maternità, avesse assunto un altro dipendente a tempo indeterminato (persino con qualifica inferiore) per svolgere le medesime mansioni di ella - responsabile di un punto vendita - così di fatto provvedendo alla sua sostituzione.
Né è valsa a giustificare detto trasferimento, l’invocata riorganizzazione aziendale, per effetto della quale, al rientro della donna, il suo posto di lavoro effettivamente non esisteva più, né vi era altro posto libero presso la medesima sede.
Invero detta circostanza – conclude la Corte con sentenza n. 3052 del 6 febbraio 2017 - costituisce in realtà frutto di un disegno complessivo realizzato per estromettere la lavoratrice in ragione del suo stato di maternità.