Alla sentenza di patteggiamento che definisce il processo in sede penale può essere legittimamente attribuita piena efficacia probatoria nell'ambito di un procedimento disciplinare che si conclude con il licenziamento del lavoratore. Con sentenza 30328/2017 la Corte di cassazione osserva che, addivenendo al patteggiamento, l’imputato/lavoratore non nega i fatti e accetta la condanna, con la conseguenza che le componenti fattuali sulla scorta delle quali è stata emessa la sentenza penale di patteggiamento hanno valore probatorio al fine di giustificare il licenziamento sul piano disciplinare.
Il caso sul quale si è pronunciata la Suprema corte è relativo alla dipendente di un ente locale condannata a una pena detentiva per avere indotto una collega d’ufficio, affetta da una condizione di deficit psichico, alla prostituzione. Il processo penale si è concluso con sentenza di patteggiamento, all’esito del quale il datore di lavoro ha promosso e, quindi, concluso un’azione disciplinare con licenziamento per giusta causa.
La Corte d’appello di Milano ha confermato la legittimità del provvedimento espulsivo e la dipendente ha interposto ricorso per Cassazione sul presupposto, tra l’altro, che la sentenza penale di patteggiamento non può costituire, in assenza di un riesame dei fatti, idonea base per giustificare il licenziamento.
La Cassazione rigetta questa lettura e conferma che in sede civile può essere attribuita piena efficacia probatoria a fatti e responsabilità ricostruiti nella sentenza di patteggiamento, atteso che in quella sede il lavoratore/imputato, accettando o, quantomeno, consentendo l’applicazione della condanna penale, non contesta né i fatti penalmente rilevanti né la loro riconducibilità a una sua responsabilità.
Sulla scorta di queste considerazioni in merito alla rilevanza anche probatoria della sentenza penale di patteggiamento, la Corte di cassazione valorizza la condotta illecita extra-lavorativa ascritta alla dipendente, rimarcando come essa sia idonea a giustificare il licenziamento, nell’ambito di un rapporto di lavoro, ogni qual volta siano lesi gli interessi morali e materiali del datore di lavoro.
Laddove, poi, il datore di lavoro sia un ente pubblico, il grado di fiducia che si deve poter riporre nella condotta dei dipendenti al di fuori della sfera lavorativa assume rilievo ancora maggiore e contribuisce a giustificare il licenziamento in tronco.