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Orario di lavoro, la temporanea inattività del lavoratore non è riposo

Pubblicato il 12 ottobre 2018 Il Sole 24 ore; Italia Oggi

La Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 9 ottobre 2018, n. 24828 , nel cassare con rinvio una sentenza del tribunale di Bari, offre un interessante riepilogo della normativa e dei precedenti giurisprudenziali in tema di orario di lavoro e periodi di riposo.

La sentenza trae origine dalla domanda, diretta a ottenere differenze retributive, anche per lavoro straordinario, di un addetto alla sostituzione di lampade della pubblica illuminazione non funzionanti, dislocate sul territorio di diversi comuni, utilizzando un automezzo di servizio custodito presso il suo domicilio e senza l'obbligo di passare dalla sede aziendale.

La Suprema corte ricorda, in prima battuta, che l'obbligazione a carico del lavoratore subordinato è di mezzi, non già di risultato e che la retribuzione spettante è pacificamente da commisurarsi alla durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative. Non risultando, nel caso di specie, né pattuito il cottimo, né alcuna contestazione di eventuali inadempienze (assenze e/o ritardi), deve presumersi che la relativa prestazione sia stata svolta nella sua necessaria effettiva durata. Tale prestazione, di conseguenza, va remunerata in misura corrispondente al tempo complessivo di messa disposizione delle energie lavorative occorrenti allo svolgimento dei compiti più strettamente operativi previsti, quali la sostituzione delle lampade e piccola manutenzione.

La circostanza che l'automezzo di servizio, di proprietà del datore, si trovasse nell'immediata disponibilità del lavoratore, presso il suo domicilio, dimostra come la prestazione avesse inizio, direttamente, proprio con il mettersi alla guida, senza bisogno di recarsi presso la sede aziendale, al fine di spostarsi in comuni diversi per rimanervi a disposizione.

La Corte di cassazione, ai fini della decisione del caso, espone inoltre le seguenti considerazioni, confortate da precedenti giurisprudenziali:

- ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, l'articolo 1, comma 2, lettera a, del Dlgs 66/2003 attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva, ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro. Ad esempio i tempi di attesa degli autisti, durante le operazioni di carico e scarico merci, vanno considerati di lavoro effettivo, e come tali da retribuirsi (Cassazione 20694/2015; 13466/2017);

- il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e semplice temporanea inattività, computabile, invece, a tali fini, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo, anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità (Cassazione 5023/2009).

In estrema sintesi, quindi, per la Suprema corte non può essere considerato periodo di riposo intermedio, ma è lavoro a tutti gli effetti, la temporanea inattività, se il lavoratore non può disporre di quel tempo per sue esigenze.

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