Nelle procedure di licenziamento collettivo, l’onere della prova sull’osservanza e razionalità dei criteri di scelta dei lavoratori è rigorosamente a carico dell’azienda. In particolare, la prova fornita dal datore di lavoro deve aggirare e vincere le eventuali contestazioni specifiche che il lavoratore interessato abbia sollevato su questo punto. In ogni caso, come ha avuto modo di precisare la Cassazione nella sentenza 13871 del 22 maggio 2019, l’annullamento del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta può essere richiesto solo dai lavoratori che, in concreto, abbiano subito un trattamento deteriore e dunque uno specifico pregiudizio per effetto della violazione. Di conseguenza, la richiesta non può arrivare indistintamente e cumulativamente da ciascuno dei lavoratori licenziati.
La definizione dei criteri di scelta da adottare nelle procedure di mobilità segue regole diverse, in ragione del fatto che sia stato raggiunto o meno un accordo sindacale (articolo 5 della legge 223/1991).
In caso di accordo sindacale, i criteri formano oggetto di convenzione, prevalentemente in base alle esigenze tecnico-produttive e organizzative. Nell’ambito degli accordi si possono prevedere criteri di natura astratta, validi per la generalità dell’azienda e dei lavoratori, o arrivare al punto di stilare una graduatoria specifica dei lavoratori da licenziare. È frequente, ad esempio, l’accordo basato – nell’ambito dei criteri tecnico-produttivi – sulle necessità aziendali legate alla presenza nel personale dei requisiti per accedere alla pensione, fatta salva l’osservanza del principio di non discriminazione, che si ritiene ricorrere nei casi in cui l’accertamento del personale da licenziare avvenga sulla base di criteri e parametri “automatici”, senza spazi per interventi discrezionali dell’azienda.
Se la ristrutturazione o riorganizzazione aziendale è riferita a uno specifico reparto o stabilimento (unità produttiva) da sopprimere, si ritiene valida la scelta che determina l’applicazione dei licenziamenti a quello specifico ambito aziendale.
In assenza di accordo sindacale, la legge prevede criteri specifici, da seguire e applicare in concorso fra loro:
-carichi di famiglia;
-anzianità;
-esigenze tecnico produttive e organizzative.
Su quest’ultimo criterio, fermo restando il principio che richiede una valutazione globale dei criteri, la giurisprudenza ammette che si possa dare prevalenza allo stesso, con le dovute cautele, considerato che è il criterio tendenzialmente più allineato e coerente con le finalità che un’impresa persegue con la riduzione del personale tramite i licenziamenti collettivi.
I principi di buona fede e correttezza devono guidare il lavoro di scelta e comparazione delle posizioni professionali coinvolte nella procedura di mobilità (articoli 1175 e 1375 del Codice civile) e devono essere riguardati come parametri guida di comparazione delle rispettive posizioni delle parti sociali coinvolte.
La comparazione e la scelta vanno effettuate nell’ambito dell’intero complesso aziendale, salvo dimostrare che le operazioni di ristrutturazione riguardino uno specifico settore aziendale, esaurendo in questo ambito i propri effetti. Bisogna poter dimostrare che l’applicazione del criterio di scelta nello specifico settore e/o reparto sia in linea di continuità logica e finalistica con le esigenze tecniche, produttive e organizzative poste alla base dell’intera procedura di mobilità. È anche necessario evitare le confusioni di ruoli e professionalità, che si manifestano, ad esempio, laddove professionalità specifiche del reparto scelto siano fungibili con quelle mantenute nell’altra parte dell’azienda.
Se i lavoratori licenziati sono reintegrati, l’impresa, sempre nel rispetto dei criteri di scelta previsti dall’articolo 5, comma 1, può risolvere il rapporto di lavoro con un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori reintegrati, senza dover esperire una nuova procedura, dandone comunicazione alle rappresentanze sindacali (il principio non opera per gli assunti in base al Dlgs 23/2015).