In questi mesi si sono lette notizie non incoraggianti sugli esiti di talune verifiche in corso in merito alla corretta applicazione del credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo (articolo 3 del Dl 145/2013), tema che ha originato anche la risposta scritta del 26 giugno 2019 in Commissione Finanze della Camera all'interrogazione n. 5-02356 (On. Fregolent). L'esperienza dimostra che le difficoltà in sede di verifica sono inversamente proporzionali all'impegno documentale assolto dalle imprese al momento della realizzazione del progetto. Se la “cartellina” dedicata alle attività svolte è semivuota, si sono create le premesse per problemi futuri. Per le imprese che, invece, hanno documentato diligentemente l'attività di ricerca secondo quanto disposto dalla norma (in primis: relazione tecnica R&S, registri presenze del personale, contratti di ricerca, relazione rilasciata dal soggetto commissionario, attestazione del revisore), i verificatori non devono cadere nell'errore di occuparsi di questioni tecniche che non competono loro, essendo estranee al mondo fiscale. Le imprese infatti, laddove oggetto di verifica, devono evidenziare che la competenza tecnica circa la riconducibilità delle attività di ricerca e sviluppo a quelle agevolabili è in capo al Mise.