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Diritto allo smart working solo se compatibile

Pubblicato il 08 luglio 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Vi sono limitate ipotesi nelle quali, «fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica», i lavoratori dipendenti hanno diritto, senza che il datore possa opporvisi, di rendere la prestazione in smart working. Due casi su tutti: a beneficio dei genitori con figli minori di 14 anni (articolo 90, Dl n. 34/2020) e in presenza di un familiare disabile in condizione di gravità (articolo 39, Dl n. 18/2020). In entrambe queste ipotesi, il diritto presuppone che la mansione del dipendente abbia caratteristiche compatibili con il lavoro in modalità agile.
Due recenti decisioni dei giudici del lavoro chiariscono i confini di queste deroghe.La prima decisione è del Tribunale di Roma, per il quale i dipendenti chiamati a far parte di una task force costituita per fronteggiare il rischio pandemico hanno diritto a svolgere la prestazione in modalità di lavoro agile se, e solo se, le loro mansioni possono essere rese, in tutto o in gran parte, prestando servizio da remoto.Il giudice capitolino (ordinanza del 20 giugno 2020) ha accolto il ricorso d'urgenza di una dipendente di azienda sanitaria locale, la quale aveva impugnato il provvedimento di rigetto della propria domanda di lavoro da remoto a causa, tra l'altro, della necessità di poter controllare il figlio disabile.
L'articolo 39 del decreto cura Italia prevede, in questo senso, che i lavoratori che hanno nel nucleo familiare disabili in situazione di gravità abbiano diritto di rendere la prestazione lavorativa in smart working, ma a condizione che tale modalità sia compatibile con le mansioni cui sono adibiti.Il Tribunale capitolino non ha ritenuto dirimente che la dipendente fosse stata assegnata alla task force di sorveglianza sulla diffusione del Covid-19, perché le esigenze familiari di cui l'operatrice socio-sanitaria è portatrice dovevano prevalere, nel caso specifico, sulle necessità del servizio sanitario pubblico.
Per gli operatori della sanità il diritto (individuale) alla tutela della salute va contemperato con il diritto alla tutela della salute della collettività. Si tratta, ad avviso del giudice capitolino, di operare un bilanciamento equilibrato tra le due esigenze, quella dei lavoratori del comparto sanità alla cura della salute (propria e dei familiari disabili) e quello dei cittadini a fruire del servizio sanitario pubblico.La seconda decisione è del Tribunale di Mantova e si riferisce al ricorso d'urgenza promosso dal responsabile dell'area tecnica di una nota compagnia di parcheggi, il quale rivendicava il diritto a lavorare da remoto sul presupposto di un figlio minore di anni 14 da dover sorvegliare.
Il giudice ha respinto, in questo caso, la domanda (ordinanza del 26 giugno 2020), osservando che le responsabilità di cui era investito il manager richiedevano lo svolgimento dell'attività in presenza.L'articolo 90 del decreto Rilancio non richiede, peraltro, unicamente la compatibilità delle mansioni con il lavoro agile, ma condiziona il diritto alla collocazione in smart working all'assenza di altro genitore «beneficiario di strumenti di strumenti di sostegno al reddito» o «non lavoratore». Il giudice ha valorizzato quest'ultimo inciso per concludere che, poiché la moglie, anch'essa lavoratrice dipendente, operava già in smart working, non c'erano i presupposti per obbligare il datore di lavoro alla concessione al marito della stessa modalità di lavoro agile.

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