La procedura per la repressione della condotta antisindacale si può avviare anche nel caso in cui la controversia riguardi una clausola inserita in un contratto di lavoro soggetto alle regole di un altro ordinamento: la condotta antisindacale, infatti, danneggia un soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro (il sindacato) e genera una forma di responsabilità extracontrattuale, che prescinde dalla legge che regola il contratto individuale di lavoro.
Con l'affermazione di questo principio, la sentenza 20819/201 della sezioni unite civili della Cassazione (depositata il 21 luglio scorso) ha dichiarato la natura antisindacale di una clausola inserita nel contratto di lavoro di alcuni operatori di volo il cui rapporto era soggetto alla legge irlandese, ma si svolgeva parzialmente anche in Italia (presso lo scalo di Bergamo).Tale clausola era inserita da compagnia aerea straniera nei contratti del personale di cabina, e vietava ai dipendenti di interrompere il rapporto di lavoro per partecipare a qualsiasi forma di protesta sindacale, pena l'annullamento del contratto e l'applicazione di specifiche sanzioni economiche e retributive.
La Filt-Cgil ha contestato la natura antisindacale di tale clausola e l'azienda, durante il giudizio di merito, ha eccepito che l'accertamento sulla legittimità di tale vincolo fosse sottratto alla giurisdizione dei tribunali italiani in quanto il rapporto di lavoro era soggetto alla disciplina irlandese.
La Corte di legittimità, come accennato, ha offerto una lettura diversa da questa, partendo dalla considerazione che va esclusa la natura contrattuale dell'azione volta all'accertamento della condotta antisindacale anche quando tale condotta deriva dall'applicazione di clausole inserite in un contratto di lavoro individuale, in quanto il sindacato agisce come soggetto collettivo che non ha alcun rapporto negoziale con il datore di lavoro. Di conseguenza, si applica a questo tipo di azione l'articolo 7, numero 2, del regolamento Ue 1215/2012, che consente di convenire in giudizio una persona in uno stato membro diverso da quello di residenza «in materia di illeciti civili dolosi o colposi».
Nel merito della vicenda, la sentenza della Cassazione ricorda che il Dlgs 216/2003 ha lo scopo, tra gli altri, di consentire la fruizione piena e integrale dei diritti in materia di lavoro e sindacale; in attuazione di questo principio, tali diritti devono essere tutelati da violenze, mobbing e altri atti o condotte lesive. Analogo principio, peraltro, è affermato in maniera chiara e incondizionata dalla nostra Costituzione, che all'articolo 39, prima comma, tutela la libertà sindacale nella sua valenza individuale e collettiva. In tale prospettiva, conclude la sentenza, l'esercizio dei diritti sindacali va considerato come una delle possibili declinazioni del concetto di «convinzioni personali» che non possono costituire motivo di discriminazione sul lavoro.