Le norme sull’onere della prova disposte con la Riforma del processo tributario aprono nuove prospettive anche sul recupero della detrazione Iva. Il gravame della prova dovrebbe ricadere sugli uffici non solo in caso di frode o inesistenza delle operazioni, in cui risulta pacifico che è la parte pubblica a dover dimostrare il “raggiro” (operazioni fraudolente/oggettivamente inesistenti) o la sua conoscenza/conoscibilità (inesistenza soggettiva), ma anche in tutte le situazioni “non patologiche” in cui la detrazione è negata per altri motivi e, su tutti, per supposta mancanza d’inerenza. L’ordinamento nazionale, stabilisce che: in base all’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972, l’esercizio immediato della detrazione è ammesso per gli acquisti eseguiti nell’esercizio d’impresa, arti o professioni (inerenza); in base al comma 2 della stessa norma, esso è escluso per gli acquisti che afferiscono a operazioni esenti o prive d’imposta; la detrazione non è ammessa, ex articolo 19-bis.1, per taluni beni/servizi per i quali opera una generale presunzione di non inerenza (totale o parziale). Da tale configurazione dovrebbe dunque emergere che il sistema ha già individuato le fattispecie in cui l’onere della prova è in capo al contribuente. Il nuovo comma 5-bis, articolo 7, D.Lgs. 546/1992, che si affranca dall’articolo 2697, cod. civ. – e, quindi, per come è stato fin qui interpretato, dalla prospettiva di un “diritto” (alla detrazione) che doveva essere esercitato dal contribuente – dovrebbe pertanto contribuire a far chiarezza sul punto, offrendo anche la corretta chiave di lettura delle pronunce della Corte di Giustizia UE.