La Corte di cassazione, con sentenza n. 3111 del 12 febbraio 2014, nel respingere il ricorso dell'agenzia delle Entrate contro una sentenza sfavorevole in merito ad un accertamento da redditometro, spiega che se il contribuente giustifica un investimento dimostrando di aver disimpegnato e venduto beni poco prima, ricade sull'Ufficio l’onere della prova che il denaro ricavato sia stato utilizzato per altre necessità.
Il caso riguardava l’accertamento di una maggior Irpef rispetto a quella dichiarata da un contribuente, che aveva acquistato seconde case, un'automobile di grossa cilindrata e sostenuto un investimento in una società. Lo stesso a giustificazione aveva opposto la dimostrazione del disimpegno di denaro e della vendita di un immobile a ridosso delle operazioni in questione.
Nell’accertamento delle imposte sui redditi, se il Fisco determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale del contribuente non riguarda solo la disponibilità di redditi, esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche il nesso tra tali redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta e la spesa oggetto di accertamento.
Tuttavia, spiega la Corte, nel caso di specie, il Collegio di appello ha reputato, adeguatamente motivando la decisione, che rispetto all’accertamento sintetico fondato su presunzioni semplici, il contribuente aveva fornito prova della disponibilità di somme derivanti da disinvestimenti da poter utilizzare per effettuare l'investimento contestato. Dunque, se l’Ufficio riteneva la prova non sufficiente doveva dimostrarlo: spettava all'Agenzia dimostrare che quei disinvestimenti fossero stati impiegati per altre necessità.