Per i trasporti relativi a beni importati in Italia, il vettore nazionale può emettere fattura in regime di non imponibilità Iva se prova che questi sono stati dichiarati in dogana e hanno assolto l’imposta a norma dell’articolo 69, D.P.R. 633/1972. Tale disposizione prevede che la base imponibile del tributo sia rappresentata dal valore doganale delle merci, aumentato dei diritti doganali e delle spese d’inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della UE che risulta dai documenti di trasporto. Il valore dei beni da dichiarare in dogana, a sua volta, si determina in base al Regolamento UE 952/2013, contenente il nuovo codice doganale dell’Unione – Ccd – in vigore dal primo maggio 2016, il quale dispone (articolo 71, paragrafo 1, lettera e) che il prezzo delle merci, da assumere normalmente come base di partenza del calcolo, dev’essere integrato sommandovi (fra l’altro) le spese di trasporto fino al luogo d’introduzione dei beni nel territorio doganale europeo. Combinandosi con le regole doganali, quindi, la base imponibile per l’Iva all’importazione può giungere a “coprire” l’intero costo del trasporto fino al luogo di destinazione finale dei beni, come dovrebbe avvenire quando la vendita è pattuita con resa “franco destino”. In linea di principio, quindi, in presenza di una bolletta doganale da cui risulti che i beni sono stati dichiarati “franco confine” italiano e che l’imposta non è stata quindi assolta in dogana sull’intero ammontare delle spese d’inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio dello Stato, il corrispettivo del trasporto andrebbe spezzato distinguendo la quota che ha scontato l’Iva in dogana, per cui spetta la non imponibilità, e quella che non è stata tassata all’importazione, la quale dovrà essere assoggettata a imposta da parte del vettore nazionale o a cura dell’importatore (in base alle modalità sopra indicate), in presenza di vettore comunitario o extra UE.