Il lavoratore che, in base all’articolo 33 della legge 104/1992, assiste un familiare disabile non può essere trasferito unilateralmente da una sede di lavoro a una nuova quand’anche il trasferimento non comporti lo spostamento a una nuova unità produttiva. Infatti il dato dirimente è costituito dal mutamento geografico del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.
La Corte di cassazione, nella sentenza 24015/2017 , osserva che nella valutazione del trasferimento del dipendente che fruisce dei permessi mensili per l’assistenza di familiari disabili non può operare il riferimento posto dall’articolo 2103 del codice civile al concetto di unità produttiva, in quanto per far scattare il divieto di trasferimento è sufficiente che si verifichi un cambiamento sul piano geografico, anche se la sede di destinazione si colloca nell’ambito della medesima unità produttiva.
Il più rigoroso regime di protezione di cui usufruisce il lavoratore che assiste un familiare in situazione di handicap (secondo i parametri previsti dall’articolo 33 della legge 104/1992 ) si colloca nel più ampio contesto della normativa costituzionale e sovranazionale che evidenzia la centralità del ruolo della famiglia nell’assistenza del disabile. In tal senso, precisa la Corte, il divieto di trasferire, senza consenso, il dipendente deve essere letto in termini costituzionalmente orientati, facendo riferimento alla Carta di Nizza, che salvaguarda il diritto dei disabili di beneficiare di misure rivolte al loro inserimento sociale, e alla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 in materia di protezione dei disabili.
La Suprema corte osserva che, alla luce di questo più generale ambito normativo di riferimento, la tutela della persona con disabilità trova spazio anche mediante una corrispondente regolamentazione del rapporto di lavoro nel quale opera il familiare, in quanto il riconoscimento al lavoratore dello speciale regime di protezione interviene in funzione del diritto del congiunto a mantenere invariate condizioni di assistenza.
L’unico limite che la Cassazione individua, rispetto al trasferimento ad altra sede del dipendente che assiste il disabile, si verifica quando il datore di lavoro dimostra l’esistenza di specifiche esigenze tecnico-produttive od organizzative, le quali impediscano una soluzione diversa dal mutamento geografico del posto di lavoro.
Ad avviso della Corte, le esigenze aziendali che, in base alla disciplina codicistica, sono condizioni di validità del trasferimento nell’ambito di un ordinario rapporto di lavoro vanno interpretate con particolare rigore in riferimento alle persone che assistono un familiare con disabilità, in quanto per questa speciale categoria le ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base della variazione di sede devono non solo sussistere, ma devono rivelarsi tali per cui non sono suscettibili di essere soddisfatte in altro modo che mediante il trasferimento medesimo.