In risposta a una richiesta di parere proveniente dal Comando generale della Guardia di finanza, l'Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) ha pubblicato la nota protocollo numero 4538 del 22 maggio 2018 relativa al nuovo obbligo di procedere al pagamento della retribuzione e di eventuali acconti della stessa unicamente con modalità tracciabili, posto a carico dei datori di lavoro e committenti dalla legge di bilancio (articolo 1, commi 910-913, della legge 205/2017).
Dal prossimo 1° luglio, infatti, la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, dovrà essere corrisposta attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:
- bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.
Nella nota, dopo un richiamo ai rapporti di lavoro cui si applica tale modalità di pagamento (comma 912), l'Ispettorato si sofferma sul procedimento sanzionatorio per le ipotesi di violazione della disposizione. In tali casi, infatti, il comma 913 prevede una sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro da comminare al datore di lavoro/committente.
La nota 4538/2018 prosegue il ragionamento su tale aspetto affermando che, in considerazione del tenore letterale e della ratio della norma, si deve ritenere che la violazione in oggetto risulti integrata in due ipotesi. La prima, quando il pagamento avviene con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore; la seconda, quando, sebbene sia stato utilizzato uno dei mezzi di pagamento sopra indicati, il versamento non sia andato a buon fine, per successiva revoca del bonifico o annullamento dell'assegno prima dell'incasso.
Dal momento che quest'ultima ipotesi rappresenta un palese tentativo di elusione della norma, nel parere viene sottolineata la necessità di verificare, ai fini della contestazione, non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege, ma che lo stesso sia andato a buon fine.
A ben vedere, tuttavia, in caso di mancato pagamento, l'ispettore del lavoro già può adottare, qualora ne ricorrano i presupposti, la diffida accertativa di cui all'articolo 12 del Dlgs 124/2004, mentre la sanzione di cui al comma 913 non sembrerebbe, limitandosi al tenore della norma, essere stata prevista per questo, ma unicamente per l'utilizzo di modalità di pagamento non tracciabili.
L'Ispettorato chiarisce, altresì, che ci troviamo di fronte ad un illecito non materialmente sanabile, dal momento che il pagamento è già stato effettuato con modalità difformi. Pertanto, il personale ispettivo non potrà adottare la diffida di cui all'articolo 13 del Dlgs 124/2004, trovando, invece, applicazione le disposizioni di cui all'articolo 16 della legge 689/1981, con conseguente determinazione della sanzione nella misura ridotta ad un terzo del massimo, ovvero la somma pari a 1.666,67 euro, da versare sul codice tributo 741T.
Nel caso in cui il trasgressore/obbligato in solido non provveda al pagamento della sanzione nei termini prescritti, l'autorità competente a ricevere il rapporto, in base all'articolo 17 della legge 689/1981, è sempre l'Ispettorato territoriale del lavoro. Allo stesso modo, avverso il verbale di contestazione e notificazione adottato dagli organi di vigilanza è possibile presentare ricorso amministrativo al direttore della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, secondo l'articolo 16 del Dlgs 124/2004, entro trenta giorni dalla sua notifica. Entro il medesimo termine è altresì possibile presentare scritti difensivi all'autorità che riceve il rapporto ai sensi dell'articolo 18 della legge 689/1981.