Il cosiddetto Decreto dignità non cambia l’impianto generale del Jobs Act per quanto riguarda i licenziamenti, tanto individuali quanto collettivi. I capisaldi sono sostanzialmente 2: in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo la sanzione è di regola l’indennizzo, mentre la reintegrazione resta un’eccezione limitata ai casi di discriminazione o di licenziamento disciplinare basato su fatti del tutto insussistenti; la misura dell’indennizzo è predeterminata e sottratta alla discrezionalità del giudice, essendo fissata a priori in due mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo e un massimo. Il “costo” di un licenziamento illegittimo è dunque, in linea di massima, certo e preventivabile. Il Decreto dignità si limita, infatti, ad intervenire sulle soglie minima e massima dell’indennizzo, che vengono portate rispettivamente a 6 e 36 mensilità di retribuzione (invece delle attuali 4 e 24). Questo vale per i datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti nell’unità produttiva (o 60 sul territorio nazionale). Ma l'aumento si ripercuote anche sulle piccole aziende che non superano tale soglia, per le quali l’indennizzo è dimezzato, con un massimo di 6 mensilità. Per queste ultime, quindi, in virtù della modifica, il risarcimento minimo per il licenziamento illegittimo sarà di 3 mensilità, invece delle attuali 2, restando invariato il massimo.