Con la sentenza n. 18195/19 del 5 luglio scorso la Cassazione fornisce interessanti precisazioni sull'indagine che, in concreto, deve svolgere il giudice di merito circa l'apprezzamento della giusta causa di licenziamento.
Nel caso in esame il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa una dipendente – portalettere - per avere distrutto a propria discrezione circa 20 chili di materiale pubblicitario, cosiddetto «promo posta», che non era riuscita a consegnare tempestivamente per le condizioni meteo avverse nei giorni antecedenti il fatto.
Per il datore di lavoro la dipendente aveva agito in violazione di specifiche norme aziendali e, in particolare, della procedura di smaltimento dei materiali inesitati, finalizzata proprio ad evitare che il portalettere possa distruggere autonomamente il materiale, decidendo quando la consegna non è più necessaria.
La Corte d'appello di Roma - confermando la pronuncia resa dal Tribunale di Cassino – aveva dichiarato tuttavia l'illegittimità del licenziamento in quanto, a suo dire, non poteva dirsi integrata alcuna delle ipotesi contemplate nella contestazione disciplinare per cui, in base al contratto collettivo applicato, era prevista la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso, ma era semmai applicabile una sanzione conservativa.
Il datore di lavoro a quel punto ricorreva in Cassazione articolando due motivi di ricorso con i quali, per quanto qui di interesse, veniva eccepita la violazione e falsa applicazione degli articoli 2104, 2105, 2106 e 2119 del Codice civile in combinato disposto con l'articolo 54 del ccnl applicato per avere escluso la giusta causa di licenziamento, deducendo che oggetto della contestazione disciplinare era stata «la volontaria distruzione di materiale postale, con riferimento alla consapevole e dolosa violazione di specifica norma regolamentare che vieta categoricamente e senza eccezioni al portalettere di distruggere autonomamente materiale postale affidato per la consegna e gli impone di seguire specifiche procedure anche per la distruzione della posta danneggiata o inesitata».
La Cassazione, nell'accogliere il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, ha fondato il proprio convincimento sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in materia disciplinare non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell'apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, purché vengano valorizzati elementi concreti della fattispecie, di natura oggettiva e soggettiva, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.
Nel caso di specie, la Corte di legittimità ha, infatti, rilevato l'assenza di alcuna indagine – da parte dei giudici di merito - sull'intensità dell'elemento psicologico nel comportamento consapevole e volontario di violazione della normativa interna da parte della dipendente e in ordine al nesso tra condotta e pregiudizio per la regolarità del servizio (pubblico) di recapito.
In conclusione, la Cassazione ha, pertanto, stabilito che «spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro» e, pertanto, ha cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte territoriale che, in diversa composizione, dovrà procedere ad un nuovo esame della questione uniformandosi a tale condivisibile principio di diritto.