Il lavoratore può legittimamente astenersi dal lavoro, laddove la festività coincida con un giorno infrasettimanale. Il datore di lavoro, infatti, non può obbligare il lavoratore - con atto unilaterale – a rendere la prestazione lavorativa. Il rifiuto del lavoratore, in tal senso, è supportato dalla L. n. 260/1949 e non può essere vanificato, né dal datore di lavoro né dalla contrattazione collettiva.
A confermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18887 del 15 luglio 2019. La diatriba nasce da un licenziamento intimato a un dipendente che si era rifiutato di lavorare il 1° maggio (Festa dei Lavoratori). La Corte d’Appello di Catania ha declassato il motivo di licenziamento, da “giusta causa” a “giustificato motivo soggettivo”, non avendo l’insubordinazione procurato notevoli danni all’attività produttiva del datore di lavoro. La vicenda giungeva fino al terzo grado di giudizio.
Le festività nazionali e infrasettimanali sono individuate dalla L. 27 maggio 1949 n. 260, dalla L. 5 marzo 1977 n. 54 e dal Dpr. 28 dicembre 1985 n. 792. Durante queste giornate al lavoratore spetta l’astensione dal lavoro.
Il calendario standard delle festività è stabilito come segue:
- festività nazionali: 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno;
- festività infrasettimanali: 1° gennaio, 6 gennaio, Lunedì dell’Angelo, 1° novembre, 8 dicembre, 25 e 26 dicembre, giorno del Santo Patrono del Comune presso cui viene svolta l’attività lavorativa.
I giudici della Suprema Corte accolgono il ricorso proposto dal lavoratore. Innanzitutto, ritengono gli ermellini, che la Corte d’Appello è caduta in errore nel disporre l’obbligo di lavorare il primo maggio, basandosi sulla semplice interpretazione del CCNL applicato, il quale contiene un generico riferimento al lavoro “festivo”. Inoltre, l’art. 5, co. 3, della L. n. 260/49 costituisce disciplina sovraordinata.
La norma richiamata, da un lato, contiene la disciplina delle ricorrenze festive e riconosce al lavoratore, in modo completo e autosufficiente, il diritto di astenersi dal prestare l’attività lavorativa in determinare festività celebrative di ricorrenze civili e religiose, d’altra parte, la rinunciabilità al relativo riposo è rimessa al solo accordo delle parti individuali o ad accordi stipulati da organizzazioni sindacali cui il lavoratore abbia conferito in tal senso esplicito mandato.
Si conferma, così, un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass., sentenza n. 16592/2015 e Cass., sentenza n. 27948/2017) che prevede la nullità del provvedimento con il quale il datore di lavoro impone al dipendente di prestare l’attività lavorativa nelle festività infrasettimanali. Un orientamento opposto, tra l’altro, sarebbe contrario al principio di cui all’art. 1460 cod. civ., secondo cui ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere all’obbligazione se l’altro non adempie alla propria.
Inoltre, nemmeno i contratti collettivi possono contenere deroghe - in senso peggiorativo - alla legge di riferimento, in quanto ciò significherebbe incidere su un diritto soggettivo del singolo individuo.
Infine, concludono i giudici di legittimità, soltanto i dipendenti di istituzioni sanitarie, pubbliche e private, sono obbligati alle prestazioni durante le ricorrenze, come il primo maggio e il 25 aprile, se le esigenze di servizio non permettono il riposo. Per il resto il datore non può derogare in modo unilaterale alla fruizione del riposo, anche se la motivazione è costituita da esigenze produttive.