Il dipendente che abusa delle assenze per malattia può essere legittimamente licenziato, anche quando il disvalore della condotta sia da ricollegare alla specifica metodica adottata dal lavoratore, consistente nel comunicare sistematicamente le proprie assenze all'ultimo momento utile e nel collocarle a ridosso dei giorni di riposo.
In questo senso si è espressa la Corte di cassazione (sentenza 18283/2019 ), confermando il giudizio della corte territoriale, che ha ritenuto il comportamento del lavoratore connotato da notevole gravità e tale da recare pregiudizio all'organizzazione aziendale, in quanto il datore di lavoro è stato posto, di fatto, nella condizione di non poter mai attivare il controllo ispettivo previsto in caso di malattia del dipendente.
Secondo la Suprema corte, i giudici di secondo grado hanno correttamente rilevato, con argomenti logici e coerenti, come i singoli inadempimenti posti in essere dal lavoratore denotassero un atteggiamento intenzionalmente negligente e reiterato nel tempo, volto ad eludere le norme di legge e le disposizioni della contrattazione collettiva in materia di giustificazione delle assenze per malattia.
Nello specifico, è emerso come la comunicazione delle assenze, da parte del lavoratore, avvenisse sempre in prossimità della scadenza (e in taluni casi anche oltre) delle prime due ore dell'orario di lavoro, ovvero del termine ultimo fissato dal Ccnl applicabile per effettuare tale comunicazione; e ciò nonostante il dipendente fosse pienamente a conoscenza della circostanza che non si sarebbe recato al lavoro, essendo comunque già in ritardo rispetto all'orario di ingresso. Inoltre, la malattia è risultata manifestarsi con un tempismo quantomeno sospetto, dal momento che iniziava nei due giorni antecedenti il fine settimana, per poi riprendere il lunedì e durare ancora uno o due giorni. D'altro canto, i giudici di merito hanno altresì rilevato come accadesse di frequente che il certificato medico fosse comunicato in ritardo e senza neppure coprire tutti i giorni fruiti, tanto che in alcuni casi le assenze erano rimaste prive di giustificazione.
I giudici di legittimità non mancano peraltro di menzionare come questi comportamenti fossero stati oggetto, in precedenza, di numerosi procedimenti disciplinari, culminati con l'adozione di sanzioni conservative di grado via via crescente, mai impugnate dal dipendente, e solo da ultimo sanzionati con provvedimento espulsivo.
È interessante notare come, nel caso in esame, la condotta del lavoratore sia stata valutata sotto un profilo squisitamente disciplinare, senza alcuna menzione al tema dello scarso rendimento, che pure, in fattispecie analoghe, è stato spesso addotto quale ragione legittimante un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, da riconnettere alla disfunzione organizzativa arrecata all'azienda dalle ripetute e frammentate assenze del lavoratore per malattia.
Del resto, nella prospettiva del datore di lavoro a cui risultino astrattamente percorribili entrambe le vie (quella disciplinare e dello scarso rendimento), la prima appare oggi senz'altro preferibile. Ciò in quanto il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cassazione 31763/2018 e 15523/2018) esclude la legittimità del licenziamento per scarso rendimento dovuto a eccessiva morbilità, sul presupposto che, sino a concorrenza del periodo di comporto, grava esclusivamente sul datore di lavoro il rischio della non utilità della prestazione per il tempo della malattia. Non sono tuttavia mancate, in anni passati, alcune sentenze di segno opposto (per esempio 18678/2014), che hanno dato rilievo alle peculiari modalità delle assenze, ponendo l'accento sul fatto che le stesse fossero frammentate e collocate a ridosso dei giorni di riposo, tanto da dar luogo ad una prestazione lavorativa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l'organizzazione aziendale, e dunque idonea a giustificare un provvedimento risolutorio.