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Patto di prova, ok alla replica se servono nuove verifiche

Pubblicato il 28 ottobre 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Il datore di lavoro può legittimamente dare luogo alla ripetizione di un patto di prova nei confronti dello stesso lavoratore, anche se in precedenza quest’ultimo avesse già sottoscritto con la stessa impresa più contratti di lavoro per le identiche mansioni. È quanto ha stabilito, da ultimo, la Corte di cassazione (sezione Lavoro): nella sentenza 22809 del 12 settembre 2019, la Corte si è pronunciata sull’ipotesi in cui, appunto, il datore di lavoro non ritenga sufficienti i periodi di prova già compiuti nell’ambito di contratti di lavoro a termine e intenda nuovamente appurare la compatibilità con le mansioni e le esigenze aziendali del soggetto da assumere a tempo indeterminato.

Nel disciplinare la possibilità di testare le caratteristiche e le qualità del dipendente prima dell’assunzione, il legislatore ha previsto, all’articolo 2096 del Codice civile, che, oltre a risultare necessariamente «da atto scritto», il patto di prova sia una clausola accessoria che consente a entrambe le parti del rapporto di recedere dal contratto alla sua scadenza e che, in caso contrario, l’assunzione diventa definitiva.

Posto che la ratio dell’istituto è nella garanzia di un’adeguata valutazione sulla possibilità di proseguire o meno il rapporto lavorativo, la questione affrontata dalla Cassazione riveste un’assoluta rilevanza, poiché non c’è dubbio che, in linea teorica, i periodi di prova già trascorsi – e la scelta di sottoscrivere ulteriori contratti di lavoro - consentano di presumere che una valutazione in questo senso sia già stata effettuata. Così non è secondo il giudice di legittimità. Infatti, al datore di lavoro è sempre consentito di dar luogo a verifiche ulteriori che si rendano necessarie.

Per la legittimità della scelta datoriale, però, occorre che sia effettivamente dimostrata (con onere della prova a carico del datore) la reale esigenza di nuove verifiche, e che queste ultime possano definirsi «rilevanti ai fini dell’adempimento della prestazione». Ciò può avvenire, stando alla sentenza, in tutti i casi nei quali sopraggiungano mutamenti strettamente legati alla persona del lavoratore «per molteplici fattori», relativi, ad esempio, «alle abitudini di vita o a problemi di salute». A ben vedere, infatti, sia la professionalità del lavoratore che, appunto, il suo comportamento e le caratteristiche personali ben si prestano a essere «elementi suscettibili di modificarsi nel tempo» (si veda anche la sentenza della Cassazione 10440 del 22 giugno 2012).

Occorre giungere a conclusioni analoghe laddove la prova già effettuata in precedenza non sia risultata sufficiente alla parte datoriale per verificare l’idoneità del prestatore a eseguire tutte le attività riconducibili alla qualifica di assunzione (ordinanza della Cassazione 28930 del 12 novembre 2018). Per quanto, apparentemente, la pratica della ripetizione del periodo di prova non possa definirsi totalmente al riparo da abusi e, in particolare, dal rischio che a una tale scelta consegua, di fatto, un’ingiustificata procrastinazione della stabilizzazione del lavoratore (per il quale, ad esempio, siano esaurite le possibilità di proroga di contratti a termine), l’ammissibilità di una simile opzione è stata avallata da una giurisprudenza pressoché consolidata, anche recente.

I vantaggi della ripetizione del patto di prova non sono esclusivamente per il datore: come sostenuto dalla Cassazione (sentenza 28930/2018), anche il lavoratore può giovarsi dell’opportunità di valutare l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro.


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