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Sostituzioni obbligatorie e turni: il collaboratore così non è autonomo

Pubblicato il 11 novembre 2019 Il Sole 24 ore; Italia Oggi;

La legge 128/2019 di conversione del Dl 101/2019, in vigore dal 3 novembre, estende l’applicazione delle norme sulla subordinazione alle collaborazioni che consistono in prestazioni di lavoro prevalentemente – e non più esclusivamente – personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Il nuovo intervento normativo elimina inoltre il riferimento a tempi e luoghi di lavoro come criteri che qualificano la etero-organizzazione della prestazione.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza 23520 del 20 settembre 2019 sembra aver anticipato queste disposizioni di legge, anche se nel caso esaminato la personalità della prestazione era indiscussa. La Corte ha stabilito che il professionista che esegue la prestazione nell’ambito di un servizio con tempi e modalità stabiliti dai dirigenti dell’azienda, svolgendo in pratica le stesse mansioni dei colleghi assunti a tempo indeterminato, non è un lavoratore autonomo ma un dipendente a tutti gli effetti.

Il caso è quello di un medico, operante presso un ospedale con contratto di collaborazione autonoma che si è però trovato a lavorare in turni unici predisposti dal primario in cui erano inclusi sia i medici dipendenti, sia quelli con contratto libero professionale. La dottoressa era anche tenuta, come i colleghi subordinati, a sostituzioni improvvise, anche in reparti diversi dal suo. Le differenze con i dipendenti erano solo formali: la professionista non aveva l’obbligo di pronta reperibilità né il badge, ma firmava comunque un foglio presenze. Le differenze quindi non interessavano la natura né le modalità della prestazione lavorativa, in tutto assimilabile, secondo i giudici, a quella svolta dai medici assunti con contratto di lavoro subordinato.

La Corte ha ritenuto dunque che, quando l’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari. Per la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, in caso di prestazioni che, per loro natura intellettuale, mal si adattano a essere eseguite sotto la direzione continua del datore di lavoro, l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere verificato tramite elementi sussidiari, che emergono dal concreto svolgimento del rapporto. Nel caso in esame, è stata desunta la natura subordinata del rapporto di lavoro caratterizzato da un elevato livello di professionalità, dalla natura dei compiti assegnati, interamente predeterminati dai sanitari sopraordinati e meramente esecutivi delle loro prescrizioni. La decisione appare in linea con i criteri dettati dal Dl 101/2019 che ha (tra l’altro) eliminato tempi e luoghi di lavoro come criteri necessari ai fini della etero-organizzazione.

La Corte ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto del medico svolto in cliniche private in base a indici come l’inserimento in turni predisposti dalla clinica, la sottoposizione a direttive sullo svolgimento dell’attività, tra cui le sostituzioni imposte. Questo accertamento identifica una figura professionale giuridicamente riconducibile ai parametri dell’articolo 2094 del Codice civile, che qualifica il rapporto di lavoro come subordinato se il lavoratore è assoggettato al potere gerarchico e organizzativo del datore di lavoro.

La Corte ha confermato il proprio orientamento: per la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, l’elemento della subordinazione costituisce una modalità d’essere del rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate dal giudice di merito. Ciò avviene in particolare nei rapporti di lavoro con natura professionale o intellettuale e indipendentemente da una iniziale pattuizione scritta sulle modalità del rapporto.

Nella qualificazione del rapporto, il giudice non può prescindere dalle modalità di espletamento dello stesso e in particolare da elementi sussidiari quali l’autonoma gestione del lavoro da parte del lavoratore, l’assoggettamento o meno a direttive programmatiche, l’accettazione del rischio derivante dal mancato espletamento dell’attività lavorativa per fruire di periodi di riposo. Prevale il principio della cosiddetta effettività, cioè del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro durante la sua esecuzione, sulla volontà espressa dalle parti al momento della stipula del contratto.


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