Il lavoratore che ha superato una selezione vantando titoli inesistenti non può chiedere il risarcimento del danno qualora l’azienda receda dal contratto a termine, nemmeno nel caso in cui tale recesso sia invalido.
Il tribunale di Trapani (sentenza 522 del 2 ottobre 2019) ha rigettato con questa argomentazione la richiesta di un dipendente che ha partecipato, di sua iniziativa, alla selezione avviata da un’agenzia per il lavoro che stava cercando un direttore generale per un cliente.
La selezione richiedeva alcuni requisiti specifici: una laurea in alcune materie (ingegneria, economia e commercio, economia e management aeronautico, giurisprudenza), la conoscenza della lingua inglese e un’esperienza nel settore di almeno cinque anni. Dopo pochi mesi, l’azienda ha scoperto che il candidato selezionato, e assunto con contratto a termine di tre anni, aveva mentito sul titolo di studio (era laureato in lingue, materia non contemplata dal bando) e ha deciso di revocare la delibera con cui era stato conferito l’incarico.
Contro tale revoca il lavoratore ha proposto ricorso al tribunale, chiedendo la riqualificazione della delibera come licenziamento illegittimo e, di conseguenza, con il pagamento di tutti gli stipendi che avrebbe maturato sino al termine del rapporto.
Il tribunale ha riqualificato la delibera (che, secondo il giudice, deve essere considerata come un vero e proprio atto di licenziamento) ma ha comunque respinto le domande risarcitorie. Ciò in quanto, in un rapporto a termine, l’invalidità del recesso non produce in modo “automatico” la condanna al risarcimento del danno: si deve verificare se, effettivamente, nella sfera del lavoratore si sia determinato un danno emergente o un lucro cessante. Tale conseguenza non è stata riconosciuta in capo al ricorrente perché non aveva un titolo di studio coerente con quelli previsti dal bando di selezione, ed è risultato pacifico che fosse a conoscenza della necessità di tale requisito.
Questi elementi consentono di escludere la sussistenza o meno di un pregiudizio ingiusto nella sfera del ricorrente causato dal licenziamento illegittimo intimato dalla società datrice di lavoro. È evidente, osserva il giudice, che l’intero pregiudizio patito dal lavoratore deriva dal fatto che questi avesse scientemente partecipato, senza averne i requisiti, a una procedura selettiva rivolta ad altri soggetti.
Il ricorrente, cioè, sin dall’inizio sapeva di non avere i titoli necessari per partecipare alla selezione, quindi non può avanzare alcuna pretesa risarcitoria, in quanto l’intero danno è scaturito da una sua condotta che rappresenta comunque una violazione del dovere di correttezza e buona fede durante le trattative.
Questa pronuncia è molto interessante in quanto il principio che viene affermato può trovare applicazione – con i necessari adattamenti – nell’ambito di qualsiasi rapporto di lavoro (non solo a termine, ma anche a tempo indeterminato): l’esibizione di un curriculum basato su titoli inesistenti costituisce una violazione dei doveri di correttezza e buona fede. Violazione che può legittimare la scelta di interrompere il rapporto, una volta scoperto l’inganno, senza costi per il datore di lavoro.