Diversamente da quanto sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria, la quale, erroneamente, nega ai contribuenti fiscalmente residenti in Italia ed aderenti alla procedura di collaborazione volontaria il rimborso della ritenuta subita in un altro Paese dell’UE sui redditi di capitale di fonte estera – la c.d. “euroritenuta”, la recente giurisprudenza tributaria sta progressivamente assumendo sul punto un orientamento favorevole al contribuente.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate giustifica il mancato diritto al rimborso dell’euroritenuta – disciplinata a livello comunitario dalla Direttiva 2003/48/CE e recepita nell’ordinamento interno tramite il D.Lgs. 84/2005 – applicata sui redditi di capitale conseguiti all’estero per coloro che hanno aderito all’’istituto della collaborazione volontaria, considerando “l’istanza di rimborso inammissibile in quanto in contrasto con la procedura di collaborazione volontaria perfezionata […] e per il fatto che l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione e non è integrabile o modificabile da parte dell’Ufficio stesso” (si veda la posizione dell’Agenzia delle Entrate riportata nella sentenza n. 309/2017 della CTP di Varese, Sez. III).
Quanto sopra è stato smentito dall’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti (AIDC) con la norma di comportamento n. 208 del Febbraio 2020, nella quale si riferisce che l’istituto della voluntary disclosure e quello dell’accertamento con adesione non sono sovrapponibili per molteplici motivi, quali, a titolo esemplificativo, il fatto che “l’accertamento con adesione è un procedimento che prende avvio con una contestazione, assente nel caso della voluntary” e che mentre “l’accertamento con adesione ha lo scopo di mediare tra interpretazioni diverse di circostanze che l’Agenzia delle Entrate abbia già accertato, la voluntary disclosure aveva lo scopo di permettere al contribuente di operare un ravvedimento operoso “speciale” […]”.
Inoltre, come testimoniato dal recente orientamento della giurisprudenza tributaria, la tesi fatta propria dall’Amministrazione Finanziaria non è assolutamente condivisibile, poiché il diniego di rimborso dell’euroritenuta ai soggetti che hanno aderito alla procedura di collaborazione volontaria darebbe origine ad una fattispecie di doppia imposizione il cui divieto è disposto dall’articolo 10 D.Lgs. 84/2005 ("Attuazione della direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2005, Art. 10 - Eliminazione delle doppie imposizioni:
1. Allo scopo di eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall'applicazione della ritenuta alla fonte di cui all'articolo 11 della direttiva 2003/48/CE, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato sono stati assoggettati alla suddetta ritenuta, è riconosciuto al beneficiario effettivo medesimo un credito d'imposta determinato ai sensi dell'articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
2. Se l'importo della ritenuta operata di cui al comma 1 è superiore all'ammontare del credito d'imposta determinato ai sensi dell'articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero nel caso in cui non sia applicabile il citato articolo 165, il beneficiario effettivo può chiedere il rimborso, rispettivamente, dell'eccedenza o dell'intera ritenuta; in alternativa, può utilizzare la modalità di compensazione prevista dall'articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.”)
Per di più, l’argomentazione dell’Agenzia delle Entrate finalizzata ad escludere la suddetta possibilità di rimborso “è in contrasto con le stesse interpretazioni dell’Agenzia che, con la circolare n. 55/E del 30.12.2005 evidenziava che l’applicazione dell’euroritenuta non impediva allo Stato italiano di assoggettare a tassazione gli stessi redditi secondo la propria legislazione interna, fatta salva l’osservanza del trattato, ossia avendo cura di assicurare l’eliminazione della doppia imposizione sul reddito” (sentenza n. 309/2017 della CTP di Varese, Sez. III).
Inoltre, le più recenti sentenze emesse dai giudici di merito accolgono i ricorsi proposti dai contribuenti avverso il diniego dell’Agenzia delle Entrate della possibilità di ottenere, a seguito dell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria, il rimborso dell’imposta scontata all’estero.
A titolo esemplificativo, si richiama la sentenza n. 4629/2019 della CTR Lombardia, in cui si afferma che “nel caso di specie le disponibilità finanziarie detenute dal ricorrente in Svizzera sono state assoggettate a ritenuta alla fonte in quel Paese, conformemente alla Direttiva 2003/48/CE del 3/6/04 (c.d. “euroritenuta”): successivamente il ricorrente ha versato l’imposta stabilita dall’AF in relazione a fronte di quegli stessi redditi, a seguito della sua adesione alla c.d. voluntary disclosure. Si configura quindi una situazione di doppia imposizione, in contrasto con quanto espressamente previsto nell’articolo 10 D.Lgs. 84/2005. Conformemente a quanto stabilito in detto articolo, dunque, deve riconoscersi al ricorrente il diritto delle imposte versate all’estero”.
Alla medesima conclusione è giunta anche la CTP di Milano nella sentenza n. 4569/2019, che, nel riconoscere il diritto del contribuente a vedersi rimborsate le somme versate all’estero a titolo di euroritenuta anche a seguito dell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria, ha precisato che il richiamo effettuato dall’Amministrazione Finanziaria all’articolo 165 Tuir, che disciplina il credito di imposta per i redditi prodotti all’estero, è erroneo e non applicabile alla fattispecie oggetto d’esame.
Infatti, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, poiché l’euroritenuta è “assimilabile ad un credito di imposta estero, non poteva essere rimborsata, in quanto l’articolo 165 Tuir prevede che, necessariamente, per il riconoscimento del credito di imposta estero, debba essere presentata dichiarazione dei redditi in Italia, secondo il disposto del comma VIII del citato articolo 165 Tuir”.
Tuttavia, tale norma non si applica alla fattispecie qui esaminata in quanto essa concerne i soli redditi di origine estera che devono essere dichiarati in Italia e non, invece, anche ai redditi derivanti da strumenti finanziari – quali i redditi di capitale oggetto di voluntary disclosure – poiché questi ultimi, soggetti ad imposte sostitutive o ritenute nello stato della fonte, non sono poi oggetto di dichiarazione.