I beni immateriali “non Industria 4.0” diventano agevolabili con credito d’imposta. Si tratta di beni strumentali nuovi e diversi da quelli che ormai da qualche anno generavano il bonus fiscale, cioè gli immateriali citati nell’allegato B della L. 232/2016 (software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni connessi con Industria 4.0). Ma, in concreto, di quali beni stiamo parlando? Per qualificarli è utile far riferimento al concetto espresso dal documento Oic 24, § 9: «I beni immateriali sono beni non monetari, individualmente identificabili, privi di consistenza fisica e sono, di norma, rappresentati da diritti giuridicamente tutelati». Poco oltre nello stesso documento si citano i diritti di brevetto industriale, diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, concessioni, licenze, marchi e altri diritti simili. Lo stesso investimento accede però a un’altra misura di favore, nel caso in cui l’impresa in questione appartenga ai settori indicati nell’articolo 1, comma 202, L. 160/2019 cioè «tessile e della moda, calzaturiero, dell’occhialeria, orafo, del mobile e dell’arredo e della ceramica». Per queste imprese è infatti previsto un credito d’imposta che favorisce le attività innovative di design e ideazione estetica, la cui misura è stata incrementata al 10% (dall’articolo 1, comma 1064, L. 178/2020), e che è utilizzabile in compensazione in tre quote annuali a partire dal periodo successivo a quello di maturazione dell’investimento. Sul fronte del credito d’imposta per investimenti in beni immateriali, all’articolo 1, comma 1059, ultimo periodo, si afferma che il bonus è cumulabile con altre agevolazioni, purché il cumulo non porti a ottenere benefici superiori al costo sostenuto.