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Accordi di ristrutturazione omologati modificabili in via unilaterale

Pubblicato il 19 maggio 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Il Ddl. di conversione del decreto legge “Sostegni”, sul quale il 18 maggio la Camera ha votato la questione di fiducia, prevede l’inserimento, nel medesimo decreto, dell’art. 37-ter, in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) di cui all’art. 182-bis del RD 267/1942.
Si tratta, nello specifico, della possibilità di apportare modifiche di carattere sostanziale al piano di risanamento o di liquidazione, anche dopo l’omologa degli ADR, qualora si rendano necessarie per conseguire gli effetti dello strumento di regolazione della crisi, senza procedere alla stipula di un nuovo accordo, purché sia prodotta una rinnovata relazione di attestazione.
La disposizione riproduce, in sostanza, quella contenuta nell’art. 58 comma 2 del DLgs. 14/2019 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza), la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo 1° settembre, e ha lo scopo di consentire di adattare gli ADR già omologati a eventi economici che, pur non incidendo sull’appropriatezza dello strumento utilizzato (l’ADR, appunto), richiedono adeguamenti non marginali del piano di risanamento o liquidazione.
In assenza di una siffatta disposizione, l’impossibilità di mantenere gli impegni assunti a causa, ad esempio, del sopravvenire di fattori esogeni, richiederebbe la sottoscrizione e la successiva omologa di un nuovo accordo, processo questo non semplice né breve, oltre che passibile di arrecare serio pregiudizio alla continuità aziendale nelle more della sua ultimazione.
Non è infrequente, infatti, che i creditori rappresentino le loro perplessità rispetto a una “nuova” ristrutturazione quando quella da poco avviata non ha avuto successo, ancorché in ragione di fattori non previsti né prevedibili al momento della conclusione dell’originario ADR. In tali situazioni i creditori operativi, non otte- nendo il rimborso dei loro crediti “congelati”, sono portati a richiedere condizioni più rigorose sulle nuove forniture, aumentando l’esigenza di capitale circolante da finanziare per la continuità gestionale.
Quelli finanziari, specie se intermediari vigilati, adottano spesso politiche che spingono per un “inasprimento” dello strumento tecnico adottato nel caso di revisioni di ristrutturazioni non andate a buon fine, così che un piano ex art. 67 L. fall. non performante suggerisce, se deve essere rinnovato in base a mutati presupposti, la stipula di un ADR e, al ricorrere delle medesime condizioni, quest’ultimo tende a scivolare verso un concordato preventivo, con conseguenti irrigidimenti e costi procedurali.
La disposizione in commento, quindi, consente, di non ripetere la fase stragiudiziale e quella giudiziale che concorrono a originare gli effetti dell’ADR, purché le modifiche al piano siano oggetto di una nuova attestazione che ne confermi la veridicità dei dati e l’attuabilità, con una particolare attenzione, nel caso di specie, all’idoneità ad assicurare l’integrale pagamento, nei termini di legge, dei creditori a esso estranei.
La possibilità concessa all’impresa debitrice di modificare unilateralmente l’ADR – pur con la validazione dell’attestatore – è bilanciata dall’obbligo di pubblicazione nel Registro delle imprese del piano modificato (e della nuova relazione di attestazione), dall’obbligo di avviso ai creditori nonché dalla possibilità per questi di proporre opposizione avanti al tribunale entro 30 giorni.
La “modifica unilaterale attestata” dell’ADR è una novità significativa e interessante, specie per dare risposte alle imprese dalla crisi economica derivante dalla pandemia COVID, ma che lascia aperti alcuni dubbi applicativi.
Uno di essi attiene all’oggetto della ristrutturazione. La possibilità di modifica parrebbe circoscritta al contratto già concluso (e omologato), escluse variazioni del perimetro dei creditori interessati. Ci si chiede se si possa dire lo stesso in relazione alla possibile adesione all’ADR modificato di creditori che erano rimasti estranei al primo.
Un secondo dubbio applicativo riguarda le conseguenze dei giudizi sulle opposizioni alla modifica attestata dell’ADR. Il rigetto delle opposizioni dovrebbe condurre alla conferma dell’omologa dell’ADR, nella forma modificata unilateralmente dal debitore, mentre il loro accoglimento dovrebbe portare all’inefficacia di detta modifica unilaterale, ma non appare chiaro quali possano essere gli effetti sull’efficacia dell’originario ADR (possono portare alla dichiarazione di fallimento?).
Ulteriori dubbi possono sorgere con riferimento alla nuova attestazione. La norma pare dare per scontato che sia resa dal professionista di quella originaria, ma ciò non è sempre possibile.
Questa ipotesi potrebbe rappresentare un vincolo all’utilizzo dell’istituto, per la necessità che il nuovo attestatore debba riprendere daccapo l’esame del piano, alla luce delle responsabilità assunte nel caso di utilizzo del lavoro di terzi, peraltro in un mutato contesto.

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