La Corte di Giustizia Ue è stata interpellata nella causa n. C-485/20 per fornire chiarimenti in merito all’applicazione della direttiva 2000/78/CE.
La vicenda riguarda un lavoratore assunto da una società, che diviene, nel corso del suo periodo di tirocinio, definitivamente non idoneo a ricoprire la posizione che gli è stata assegnata a causa di una sopravvenuta disabilità e viene quindi licenziato per inidoneità. Il ricorrente contesta tale decisione affermando di essere vittima di una discriminazione fondata sulla disabilità. È stato dunque chiesto alla Corte se, ai sensi della richiamata direttiva, e al fine di evitare qualsiasi discriminazione fondata sulla disabilità, il datore di lavoro del ricorrente fosse tenuto, invece di licenziarlo, ad assegnarlo a un altro posto di lavoro per il quale quest’ultimo era competente, capace e disponibile.
L’Avvocato della Corte di Giustizia Ue, nelle sue conclusioni dell’11 novembre 2021 rileva innanzi tutto che sia dal titolo e dal preambolo, sia dal contenuto e dalla finalità della direttiva 2000/78 risulta che quest’ultima si propone di stabilire un quadro generale per garantire a ogni individuo la parità di trattamento «in materia di occupazione e di condizioni di lavoro», offrendo una protezione efficace contro le discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui all’articolo 1, tra i quali sono menzionati gli handicap. Così, detta direttiva ha come obiettivo, in materia di occupazione e lavoro, di combattere ogni forma di discriminazione basata sulla disabilità.
L’Avvocato ritiene che il tirocinante abbia subìto una limitazione duratura della sua capacità, risultante da menomazioni fisiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e che egli debba essere qualificato come disabile ai sensi della direttiva 2000/78. Egli aggiunge che una persona che svolge un periodo di tirocinio nel quadro della sua assunzione è in una condizione più vulnerabile rispetto a una persona che dispone di un lavoro stabile, e che le è più difficile trovare un altro lavoro in caso di sopravvenuta disabilità che la renda inidonea a svolgere l’attività per la quale è stata assunta, tanto più se è all’inizio della sua carriera lavorativa. Gli sembra pertanto giustificato riconoscere a un tale tirocinante la protezione contro le discriminazioni. L’Avvocato generale sottolinea a tal riguardo che, nel quadro del suo periodo di tirocinio, il tirocinante svolgeva un’attività retribuita reale ed effettiva, a favore e sotto la direzione di un datore di lavoro, e che doveva quindi essere qualificato come lavoratore ai sensi del diritto dell’Unione.
L’Avvocato rileva inoltre che la disposizione della direttiva in questione non limita le misure adottate al solo posto occupato dal lavoratore disabile. Al contrario, l’accesso a un lavoro e la possibilità di ricevere una formazione lasciano aperta l’opzione di un’assegnazione a un diverso posto di lavoro. Occorre dare quindi una definizione ampia della nozione di «soluzione ragionevole», da intendere come diretta all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Secondo l’avvocato generale, nei limiti del possibile, occorre mantenere l’occupazione delle persone disabili, piuttosto che procedere al loro licenziamento per inidoneità, provvedimento che dovrebbe essere disposto solo quale ultima ratio.
L’Avvocato generale aggiunge che la riassegnazione di un lavoratore disabile a un altro posto di lavoro all’interno dell’impresa richiede che egli sia competente, capace e disponibile a svolgere le funzioni essenziali di tale nuovo posto. Inoltre, le misure a titolo di soluzione ragionevole non devono imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato, tenendo conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. A tal riguardo, l’Avvocato generale indica che la possibilità di assegnare un lavoratore disabile a un altro posto di lavoro riguarda il caso in cui esiste almeno un posto vacante che il lavoratore considerato può occupare, al fine di non imporre un onere sproporzionato al datore di lavoro.
Alla luce di quanto considerato, L’Avvocato ritiene che quando un lavoratore, compreso quello che effettua un tirocinio nel quadro della sua assunzione, diviene definitivamente inidoneo, a causa di una sopravvenuta disabilità, a occupare il posto di lavoro cui è stato destinato in seno all’impresa, il suo datore di lavoro è tenuto, a titolo delle soluzioni ragionevoli previste dal diritto dell’Unione, a riassegnarlo a un altro posto di lavoro, se questi possiede la competenza, la capacità e la disponibilità richieste e se una tale misura non impone a detto datore di lavoro un onere sproporzionato.