La Cassazione estende la nozione di controllo societario, con l’effetto di allargare l’area delle possibili contestazioni alle imprese per violazioni del decreto 231. È questa la conseguenza della sentenza n. 3211 della Quinta sezione penale, per la quale «la nozione di controllo di cui all’articolo 5 decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, non coincide con quella di controllo della società delineata dall’articolo 2359 Codice civile, ma ricomprende anche l’attività di vigilanza o, comunque, di verifica e incidenza nella realtà economico-patrimoniale della società, sovrapponibile a quella svolta dai sindaci o dagli altri soggetti a ciò formalmente deputati». La Corte si è trovata a dovere affrontare la determinazione delle situazioni nelle quali si può affermare che un soggetto, il quale non riveste una carica formale nell’organigramma societario; tuttavia, esercita sulla società un controllo in punta di fatto. La norma del decreto 231 infatti ascrive all’ente una responsabilità per fatti di reato, compresi nella lista dei delitti presupposto, se commessi, oltre che dai vertici formali, anche da «persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso”.
Ma se sulla gestione di fatti della società soccorrono gli indici presuntivi delineati dall’articolo 2369 del Codice civile, valorizzando, in particolare l’esercizio in maniera continuativa e significativa, e non solo episodico e occasionale, di tutti i poteri di amministrazione, più complessa e controversa è la definizione del controllo di fatto. Quest’ultima, per la Cassazione, non va rintracciata avendo come riferimento il Codice civile e l’articolo 2359, ma deve avere un perimetro più esteso, tra l’altro più coerente con gli obiettivi collegati all’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti.
Quanto alla connessione tra gestione e controllo, il legislatore, sottolinea ancora la sentenza, richiede che almeno una di queste funzioni sia esercitata di fatto. Dunque, la società può essere chiamata a rispondere «anche per i reati commessi dai componenti formali del collegio sindacale, i quali in concreto svolgano, come attestato dalla ricorrenza degli indici disvelatori della qualifica ex articolo 2639 del Codice civile, anche il ruolo di amministratori di fatto dell’ente».