Il dipendente, una volta adito il giudice per contestare il demansionamento, non può poi successivamente accettare l'esecuzione di mansioni inferiori al fine di evitare il licenziamento per giusto motivo oggettivo. Lo ha fermamente precisato la Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 3968 del 18 febbraio 2011, ritenendo che il primo atteggiamento del lavoratore, la contestazione, sia incompatibile con il secondo atteggiamento, l'accettazione. Nei fatti, tre dipendenti avevano impugnato il licenziamento avvenuto per giustificato motivo oggettivo in quanto era stato soppresso il reparto dove svolgevano la mansione. Prima del licenziamento, però, avevano adito il giudice per contestare il fatto di essere stati adibiti a mansioni inferiori. In seguito a detta vertenza avevano poi accettato il demansionamento per evitare di essere licenziati. Ma la Cassazione ha rilevato che il fatto dell'accettazione delle nuove mansioni era da considerarsi ininfluente essendo avvenuto dopo il licenziamento in quanto “le condizioni legittimanti il licenziamento per giustificato motivo oggettivo andavano verificate al momento del recesso, e non potevano essere ricollegate a una dichiarazione del lavoratore successiva e non accettata dal datore”. E' stato quindo sostenuto il seguente principio di diritto: “Quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica di possibilità di répechage va fatta con riferimento a mansioni equivalenti; ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell'impossibilità di répechage va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre in quest'ultimo caso, che il demansionamento sia anteriore o comunque coevo al licenziamento”.
weekly news 08/2011