Durante le fasi dell’accertamento, i verificatori del Fisco possono denunciare oltre che la palese violazione della normativa fiscale anche comportamenti che – seppur non in infrazione di legge – appaiono antieconomici: sottendono scelte imprenditoriali che non sono finalizzate alla riduzione dei costi e alla massimizzazione dei ricavi.
Secondo l’Agenzia delle Entrate (norma interna n. 55440/2008), in sede di contestazione, in presenza di una condotta ritenuta antieconomica, subentra un ribaltamento dell’onere della prova in capo al contribuente, che è tenuto a giustificare la propria condotta e a motivare le ragioni delle sue scelte considerate antieconomiche; in caso contrario, il Fisco potrà sottoporre a tassazione il componente negativo di reddito dedotto oppure il componente positivo di reddito non dichiarato.
I casi più frequenti, in cui si può ravvisare una gestione antieconomica, sono quelli che riguardano: l’entità dei compensi ai manager; i costi sostenuti per servizi resi da altri soggetti del gruppo; l’inapplicazione di penali previste per consegne tardive di beni o esecuzione in ritardo di servizi oppure nel caso in cui la società registra utili ridotti o si trova in perdita.
In molte situazioni ritenute dal Fisco antieconomiche è stata chiamata a giudicare anche la Suprema Corte di Cassazione. Spesso, con pronunce che si dividono rispetto all’antieconomicità delle scelte dell’imprenditore.
In materia di inerenza, ai fini impositivi, rileva soprattutto la qualità del costo e non la quantità, dato che il nostro ordinamento riconosce all’imprenditore la libertà di scegliere la propria strategia d’impresa.
weekly news 14/2011