Una società farmaceutica, colpita da un avviso di accertamento relativo ad Irap e Iva per l’anno 2006, era stata accusata dal Fisco non solo di non aver applicato correttamente le norme previste dall’articolo 103 del Tuir, ma anche di aver modificato la misura con cui determinare le royalties delle proprie licenze e marchi: misura che in sede di contratto (2004) era stata fissata al 3,6% delle vendite e in seguito (2005) innalzata – con una modifica contrattuale – al 10%.
Dietro tale variazione, le parti avevano continuato ad addebitare le royalties del 2006 usando le percentuali più basse, per adeguare la fatturazione al 10% a fine anno, con effetto sulle mensilità pregresse. Per il Fisco tutto ciò palesava un chiaro comportamento antielusivo, non supportato da valide ragioni economiche.
La società ha proposto ricorso, ribadendo l’assenza di vantaggi fiscali in virtù della partecipazione al regime di tassazione consolidata e sostenendo che le percentuali di royalties applicate rispondevano a precise logiche commerciali, che avevano portato a rivedere negli anni le condizioni contrattuali. Tutto ciò, senza produrre alcun vantaggio economico, che eventualmente – come avanzato in sede di ricorso dalla società – doveva essere dimostrato dal Fisco. I giudici della Commissione tributaria provinciale di Milano – sentenza n. 128/03/11 – hanno riconosciuto la validità giuridica degli accordi commerciali conclusi ed hanno ribadito che il Fisco non può pretendere spiegazioni giustificative su un’eventuale modifica contrattuale effettuata dalla società sulla base di una libera scelta aziendale intrapresa dall’imprenditore. Dunque, non è ammesso un ribaltamento dell’onere della prova in capo al contribuente a seguito di una generica contestazione di “antieconomicità”. Spetta sempre e solo all’Ufficio provare il comportamento elusivo in presenza di modifiche contrattuali e lo stesso ufficio non è tenuto ad indagare, ma solo a prendere atto dei fatti economici che gli imprenditori pongono in essere.
weekly news 21/2011