La Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 70/2011, conferma e avvalora la decisione già presa dal Tribunale di Bergamo (sentenza n. 2844 del 20 maggio 2010) in materia di legittimità di un contratto di lavoro a progetto certificato.
Nessun rilievo, secondo il Tribunale di Bergamo, riveste la certificazione della Commissione di Certificazione dei contratti di lavoro e di appalto istituita presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Infatti, secondo il Decreto legislativo n. 276/2003, nei confronti dell’atto certificato è possibile rivolgersi al giudice per verificare l’erronea qualificazione del contratto.
In appello, la Corte ha individuato le modalità ed i criteri per una corretta interpretazione del contratto di collaborazione a progetto in relazione alla sua certificazione dinanzi alla Commissione, sostenendo che la certificazione “non può essere vincolante per il giudice”, soprattutto nel caso in cui la qualificazione del rapporto di lavoro sia errata e nasconda una finalità diversa. Cioè, è irrilevante la volontà dello stesso lavoratore di accettare tempi e modalità di svolgimento del lavoro se la scelta di qualificare un lavoro a progetto nasconde invece uno stato di subordinazione.
Secondo la sentenza, infatti: “la volontà espressa dal lavoratore è stata una volontà di qualificare il contratto come contratto a progetto, ma se il contratto concluso non aveva i presupposti e le caratteristiche essenziali del contratto a progetto questa volontà è irrilevante”.
Dunque, per la Corte di appello non ci sono dubbi: il contratto di lavoro va convertito da lavoro a progetto in un contratto di lavoro subordinato. La certificazione ottenuta in origine non salva dall’applicazione delle sanzioni previste dalla legge Biagi. In più, oltre alla conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la sentenza condanna il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive e delle retribuzioni maturate successivamente alla costituzione in mora. L’Inps paga le prestazioni di sostegno al reddito per i mesi di luglio e agosto 2011
Con il messaggio n. 16355/2011, l’Inps – ricevuto il via libera da parte del ministero del Lavoro – riconosce le prestazioni di sostegno al reddito a carico dei lavoratori in mobilità che in presenza dei requisiti richiesti non sono potuti andare in pensione con le vecchie regole ed, inoltre, da fine giugno, si sono visti sospendere le indennità erogate dallo stesso Istituto previdenziale.
Le vecchie regole a cui si fa riferimento sono quelle sancite dalla legge n. 122/2010, che per un numero ristretto di 10mila lavoratori aveva previsto una sorta di clausola di salvaguardia per cui gli stessi potevano accedere al pensionamento senza attendere i 12 mesi dalla maturazione dei requisiti, che la stessa legge prevede per l’uscita dei dipendenti (18 mesi per gli autonomi): cosiddetto meccanismo delle “finestre mobili”.
All’Inps era affidato il compito di monitorare le richieste con la condizione che se le graduatorie avessero superato quota 10mila, non si sarebbero dovute più considerare altre istanze. Ma così non è stato. L’Inps non ha portato a termine le operazioni necessarie per individuare i destinatari e, quindi, sono state sospese le indennità di mobilità.
Subito è stato avvisato il ministero del Lavoro che, di concerto con l’Economia, può decidere di prolungare nei limiti delle risorse del Fondo sociale per l’occupazione e formazione, il trattamento di sostegno al reddito. Resosi conto dell’urgenza della situazione, il Ministero ha autorizzato l’Inps a pagare, in via provvisoria per i mesi di luglio e agosto 2011, le prestazioni di sostegno al reddito di alcune categorie di lavoratori. Nello specifico, si tratta di lavoratori in mobilità ordinaria o lunga e i lavoratori in esodo a carico dei fondi di solidarietà.
weekly news 34/2011