In materia di società estere, i commi 5-bis, 5-ter e 5-quater dell'articolo 73 del Tuir non costituiscono un automatismo ed il Fisco italiano non è sgravato dall'onere di dimostrare l'esterovestizione ossia che la residenza estera di un'impresa è in realtà fittizia.
E' questa la conclusione accolta dalla commissione Ue sulla base delle risposte fornite dall'Agenzia delle entrate dopo che l'Aidc (Associazione italiana dottori commercialisti) ha chiesto alla Ue di verificare la compatibilità delle norme italiane in materia di esterovestizione con quelle di matrice comunitaria. Per l'Aidc la presunzione di residenza contenuta nel Tuir scarica sul contribuente tutto l'onere di provare il contrario disponendo una presunzione generale di evasione o di frode fiscale.
L'Agenzia, chiamata dalla commissione europea a fornire le proprie argomentazioni, ha però specificato che permane sull'amministrazione finanziaria un obbligo di provare l'esterovestizione per cui la presunzione di residenza si fonda “essenzialmente su una valutazione caso per caso da parte degli enti verificatori del complesso degli elementi fattuali di ogni singola fattispecie senza limitare la possibilità del contribuente di fornire elementi in senso contrario”.
In sostanza la presunzione dell'articolo 73, commi 5 bis, ter e quater, aiuta gli accertatori nel cogliere gli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva della società ma non limita l'onere di provare in concreto l'effettività dell'esterovestizione. Il contribuente è pertanto posto nella condizione di potersi difendere.
weekly news 45/2011