Con la sentenza n. 35824 depositata il 19 settembre 2012, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal presidente del Consiglio di amministrazione di una Società per azioni i cui beni erano stati oggetto di un provvedimento di sequestro per equivalente, in funzione della successiva confisca, nell’ambito di un’indagine in cui lo stesso era accusato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ai sensi dell’articolo 3 del Decreto legislativo n. 74/2000. Ciò che era stato contestato al ricorrente, in particolare, era che lo stesso avesse falsificato la contabilità della Spa, facendo risultare un incasso inferiore rispetto a quello reale.
Il presidente del Cda, nel suo ricorso per Cassazione, aveva asserito che la sentenza di merito fosse viziata da carenza di motivazione in quanto il tribunale aveva fatto corrispondere il profitto del reato con l’intero importo delle somme ottenute a seguito delle operazioni economiche in nero; operazioni che, per contro, avrebbero dovuto considerarsi come un valore neutro sotto il profilo dell'Iva, posto che quest'ultima non era stata in concreto mai incassata.
La Suprema corte, in tale contesto, ha confermato la misura cautelare disposta dai giudici di merito sottolineando come, a ben vedere, nella sentenza impugnata il profitto del reato era stato individuato nell'ammontare dell'Iva che avrebbe dovuto essere versata per le operazioni effettuate in nero e la somma per la quale il sequestro per equivalente era stato disposto corrispondeva proprio a tale ammontare e non, come prospettato dal ricorrente, all’intero ammontare delle operazioni in nero.
weekly news 38/2012