Ad una società accertata dal Fisco è stato richiesto il pagamento di un’ingente somma di denaro a titolo di rettifica Iva per aver effettuato acquisti di alluminio da due società cartiere che, in precedenza, avevano fatturato solo cartolarmente, in regime di reverse charge, i loro acquisti di materia prima per poi rivendere le lastre di allumino con regime Iva ordinario ad un prezzo inferiore a quello di acquisto, beneficiando dell’omesso versamento a monte dell’imposta.
Il Fisco aveva contestato alla società contribuente un indebito vantaggio fiscale derivante dalle cessioni di beni non realmente effettuate grazie agli accordi intercorsi tra le società cartiere. Di qui, il ricorso della società sia dinanzi alla Commissione tributaria Provinciale che Regionale.
Entrambi i collegi hanno dato ragione alla contribuente e, nello specifico, la Ctr Marche, con la sentenza n. 121/1/12, ha sottolineato come la società contribuente non fosse a conoscenza della frode messa in atto dalle società cartiere, avendo effettivamente acquistato i beni e avendone pagato regolarmente il corrispettivo prezzo di acquisto. Né la contribuente aveva effettuato altri acquisti da altro fornitore.
Pertanto, non vi è prova dell’intento fraudolento della società, che così non può essere penalizzata senza motivo per l’esistenza di una catena fraudolenta messa in atto da terzi. Mancano, dunque, nella presunzione formulata dall’Amministrazione finanziaria, i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza. L’assenza di tali elementi, non consente al Fisco di procedere con la rettifica dell’Iva, dato che la contribuente è riuscita, comunque, a dimostrare la sua completa estraneità alla frode organizzata da terzi fornitori.
weekly news 45/2012