Il caso: una lavoratrice anziana, per la poca dimestichezza e adattabilità con il sistema informatico introdotto nella farmacia in cui lavorava, era stata costretta al prepensionamento dal datore di lavoro e resa oggetto di atteggiamenti ostili dei colleghi. La lavoratrice era caduta in una grave depressione e aveva tentato il suicidio.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 18927, del 5 novembre 2012, accoglie il ricorso presentato dalla donna avverso la decisione della Corte di appello, che negli episodi contestati non aveva ravvisato una strategia persecutoria tale da giustificare un risarcimento per mobbing.
I giudici di Cassazione specificano che qualora la totalità delle situazioni addotte dalla parte lesa non siano sufficienti a configurare il mobbing, il giudice di merito è tenuto a verificare se alcuni dei comportamenti denunciati, anche in relazione agli altri, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore, con responsabilità ascrivibili al datore di lavoro, che sarà tenuto comunque a risarcire il dipendente.
weekly news 45/2012