La Terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1863 del 15 gennaio 2013, accoglie il ricorso della procura di Lucca e annulla con rinvio l'assoluzione di un imprenditore titolare di una società svizzera, che aveva concesso in uso un bene ad una associazione lucchese. Di fatto, l’associazione italiana aveva importato il bene senza pagare l’Iva.
Con la sentenza in oggetto, la Corte opera una distinzione netta tra dazi e Iva, con relativa distinzione tra le norme che puniscono l’evasione dei dazi doganali da quelle specifiche riguardanti l’evasione Iva.
A detta dei giudici, le due fattispecie restando distinte fanno sì che “l'Iva all'importazione è dovuta, in linea generale, anche nelle importazioni dalla Svizzera”.
Pertanto, anche se dal 1992 tra l’Italia e la Svizzera è stato siglato un accordo che abolisce i dazi doganali in senso proprio e le tasse ad effetto equivalente, non si deve operare un’analogia anche per ciò che riguarda l’Iva. L’imposta sul valore aggiunto non appartiene alle suddette categorie di tasse, avendo la natura di tributo interno e, dunque, è comunque dovuta.
Di qui la conclusione della Corte, che ritiene responsabile penalmente l’imprenditore che non ha pagato il tributo sui beni provenienti dalla Confederazione elvetica.
weekly news 03/2013