Per stabilire se i negozi o i redditi scaturenti da un contratto siano soggetti alla esatta imposizione, l'accordo tra le parti, ai fini fiscali, deve essere interpretato con criteri diversi da quelli utilizzabili a scopi civilistici, dovendosi attribuire rilievo preminente agli effetti dei negozi stessi e alla necessità di prevenire frodi e abusi.
E' quanto ribadito dai giudici della Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 15968 del 25 giugno 2013, pronunciata con riferimento ad una vicenda in cui l'amministrazione finanziaria aveva contestato un abuso del diritto in capo ad una Sas, i cui due soci erano due fratelli, per aver omesso la dichiarazione di sopravvenienze attive derivanti dall'omesso pagamento negli anni dei canoni relativi all'affitto di azienda e dovuti alla società di cui era titolare il padre.
I due fratelli si erano difesi sostenendo che le somme non pagate al padre per l'affitto di azienda non erano da considerare come una rinuncia del locatore, bensì una tolleranza dello stesso verso i figli.
Di diverso avviso la Corte di legittimità, la quale ha accolto il ricorso promosso dal Fisco secondo cui la ripresa a tassazione dei canoni non corrisposti avrebbe potuto celare la finalità di ricavare solo dei vantaggi fiscali dall'affitto.
weekly news 26/2013