La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42350 del 15 ottobre 2013, esclude la confisca per equivalente sui beni della società nel caso in cui il reato fiscale sia commesso in suo favore dal legale rappresentante.
I giudici evidenziano come il D.Lgs n. 231/2001, articoli 24 e seguenti, non contempli i reati fiscali tra le fattispecie criminose in grado di giustificare la confisca per equivalente. Tale provvedimento potrebbe trovare motivazione qualora la struttura societaria costituisca un apparato fittizio utilizzato dal manager per commettere illeciti che permettano di ricondurre ogni bene intestato alla società alla disponibilità di chi ha commesso l'evasione fiscale. Nella sentenza si precisa che “il superamento dell’alterità della soggettività giuridica riconosciuta all’ente rispetto alle persone fisiche che agiscono per esso e nell’interesse di esso non può infatti - a parte l’ipotesi in cui già di per sé l’alterità non sussista, costituendo un’apparenza occultante il reo, che si avvale della persona giuridica allo stesso modo in cui potrebbe avvalersi di una persona fisica come prestanome (fattispecie simulatorie in cui non vi è compresenza di più soggettività, bensì traslocamento dell’unica in una maschera, un “guscio vuoto”) - non derivare da una fonte di legislazione primaria, che allo stato è identificabile nel D.Lgs 8 giugno 2001, n. 231, il quale esclude i reati tributari dalle fattispecie criminose di cui agli artt. 24 ss. idonee a giustificare la cautela in questione”. L'estensione per ogni reato dell'identificazione della persona giuridica con la persona fisica ad essa collegata con rapporto organico significherebbe scardinare l'Istituto della persona giuridica stessa . Il rapporto organico sarebbe così identificato in un rapporto di mandato con rappresentanza talmente serrato che tutto ciò che è posto in essere dal legale rappresentante sarebbe ravvisabile anche in nome e per conto della società senza alcuna distinzione della soggettività.