Finora, prassi e legislazione hanno considerato "trasfertista" il lavoratore tenuto continuamente a muoversi, poiché nel contratto individuale non è indicata una specifica sede di lavoro, ricevendo egli – a fronte degli spostamenti - una specifica maggiorazione della retribuzione, senza che a tal fine rilevino tempi e luoghi di spostamento.
A tale tipologia di dipendente è stato associato un regime fiscale e contributivo a sé, diverso dal regime fiscale e contributivo delle trasferte, applicabile quest’ultimo invece ai casi in cui il contratto individuale indica una s
ede di lavoro, che comporta l'indennità di trasferta quando il lavoratore viene inviato a lavorare fuori dalla stessa e fuori dall'ambito comunale.
Oggi, la Corte di cassazione, con sentenza n. 22796, del 7 ottobre 2013, ritiene che il comma 6, articolo 51 del Tuir - a norma del quale, ai cosiddetti lavoratori "trasfertisti" competono indennità e maggiorazioni di retribuzione, non correlate a una specifica trasferta, ma contrattualmente attribuite in funzione delle modalità di espletamento dell'attività; somme imponibili, sia ai fini fiscali che a quelli previdenziali, nella misura del 50 per cento - non richieda, per essere applicato, che le indennità e le maggiorazioni previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa, anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo.
Rileva, per i giudici di ultime cure, che il lavoro dei dipendenti sia normalmente svolto in luoghi variabili e diversi e che la sede aziendale sia utilizzata per la sola predisposizione di quanto occorre prima di partire per i diversi cantieri di lavoro.
Emerge, dunque, una figura di lavoratore trasfertista assolutamente nuova che, se confermata e consolidata, chiamerebbe trasferisti tutti quei dipendenti impiegati in attività che per loro natura vengono svolte presso i clienti o, in ogni caso, fuori dalla sede aziendale e consegnerebbe loro una disciplina fiscale e contributiva (appunto l’articolo 51, comma 6, TUIR) unica.