Con sentenza n. 47110 del 27 novembre 2013, la Terza sezione penale di Cassazione ha annullato, con rinvio, la decisione con cui il Tribunale di Bergamo, sezione di Treviglio, aveva assolto dai reati di dichiarazione infedele ed emissione di fatture per operazioni inesistenti un soggetto che, pur avendo assunto formalmente la carica di amministratore di una società, si era rivelato essere, nel corso dell'istruttoria di merito, solo il prestanome di quest'ultima.I giudici di merito avevano prosciolto l'imputato con formula “per non aver commesso il fatto”, sugli assunti secondo cui la predisposizione e la presentazione delle dichiarazioni dei redditi così come l'emissione delle fatture erano attività che ben potevano essere state poste in essere da altri e che dagli atti risultava provato che il prestanome fosse estraneo alla vita economica dell'impresa, gestita a sua insaputa. Queste motivazioni non hanno convinto la Procura della Repubblica la quale ha impugnato la decisione di merito presentando un ricorso per saltum dinanzi ai giudici di legittimità. Ed in questa sede l'impugnazione è stata ritenuta fondata. In primo luogo, la Suprema corte ha ribadito il principio di equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti sia nella materia civile che in quella penale e tributaria, principio anche recepito dal legislatore in occasione della riforma del diritto societario. Secondo la Corte, inoltre, nel caso in esame il giudice di merito aveva concentrato la sua indagine esclusivamente sull'autore della materiale esecuzione delle condotte e sulla sostanziale estraneità dell'imputato alla vita economica dell'impresa, omettendo, per contro, di porsi il problema del dolo eventuale dell'amministratore di diritto o prestanome. Ne è conseguito il rinvio della vicenda, per un nuovo esame di merito, dinanzi alla Corte d'appello.