Con ordinanza n. 1725 depositata il 28 gennaio 2014, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso presentato da una società contro la decisione con cui, nei gradi di merito, era stata accertata la nullità di una clausola del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro oggetto della lite e da cui la ricorrente pretendeva di far derivare l'automatica cessazione del rapporto con un proprio dipendente in quanto stabiliva l'automatico collocamento a riposo del personale una volta raggiunta la massima anzianità contributiva; nel testo della medesima decisione, inoltre, era stato anche disposto l'annullamento del conseguente atto di risoluzione del rapporto, con condanna della società medesima al risarcimento delle retribuzioni di fatto maturate e non percepite dal lavoratore, poi deceduto, dall'interruzione del rapporto di lavoro al decesso.
I giudici di legittimità hanno, in particolare, confermato che la nullità della clausola contrattuale citata aveva determinato la continuità giuridica del rapporto di lavoro secondo le modalità persistenti, fino al verificarsi di una legittima causa di risoluzione; in detto contesto, la datrice di lavoro, avendo rifiutato la prestazione lavorativa collocando a riposo il dipendente contro la sua volontà, si era trovata a versare in una mora accipiendi dalla data in cui il dipendente aveva offerto la propria prestazione. Ne era conseguito che la stessa società fosse obbligata al risarcimento del danno causato dalla propria inadempienza contrattuale, danno che poteva essere individuato nella mancata corresponsione delle retribuzioni.
Nel testo della decisione i giudici di legittimità hanno anche sottolineato come, nel caso in esame, dovesse escludersi la possibilità di detrarre dal risarcimento del danno il trattamento pensionistico percepito dal lavoratore, “non potendo ritenersi tale attribuzione acquisita, se non in modo apparente e del tutto precario, al suo patrimonio”.