Con la sentenza n. 80, dell'8 aprile 2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’Iva, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta, a euro 103.291,38.
Disparità di trattamento
La Consulta, quindi, accoglie il rilievo sollevato dal Tribunale di Bergamo circa l'illegittimità del suddetto articolo evidenziando una disparità di trattamento – ex articolo 3 della Costituzione - nella parte in cui prevede, per l’omesso versamento dell’Iva, una soglia di punibilità inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione, dagli articoli 4 e 5 del Dlg. 74/2000, prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 138 del 2011.
Omesso versamento meno grave della dichiarazione infedele e dell'omessa dichiarazione
Per i magistrati è manifesta la lesione del principio di eguaglianza in quanto l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele sono da considerare illeciti più gravi, per le conseguenze ai fini fiscali, rispetto all’omesso versamento dell’Iva. Ciò è vero anche per lo stesso legislatore che, nel determinare le pene edittali, ha previsto pene più severe per l'omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele (reclusione da uno a tre anni) rispetto all'omesso versamento (da sei mesi a due anni).
E' quindi da considerare più riprovevole la condotta del contribuente che, per evadere l’Iva, presenta una dichiarazione infedele, tesa a occultare la materia imponibile, o non la presenta affatto in quanto pone in atto pesanti ostacoli per l’accertamento dell’evasione; diversamente, è meno “pesante” la condotta del contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, omette di versare l’imposta da lui stesso autoliquidata.