Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 4 del 18 gennaio 2013, aveva chiarito che la ridefinizione dell’istituto del lavoro accessorio e il contenimento del suo ambito applicativo fa nascere l’esigenza che lo stesso non si presti a fenomeni di “destrutturazione” di altre tipologie contrattuali e a possibili fenomeni di “dumping” sociale nell’ambito degli appalti, a sfavore delle imprese che ricorrono a contratti di lavoro più “stabili”.
Stante quanto sopra, è stato confermato l’orientamento secondo il quale il lavoro accessorio è utilizzabile in relazione a prestazioni rivolte direttamente a favore dell’utilizzatore della prestazione stessa, senza il tramite di intermediari (con la sola eccezione degli steward delle società calcistiche, come esplicitamente previsto con D.M. 8 agosto 2007, modificato dal D.M. 24 febbraio 2010).
Il ricorso ai buoni lavoro è dunque per il Ministero del Lavoro – ma anche per l’INPS, come specificato con circolare n. 17/2010 dell’Istituto - limitato al rapporto diretto tra prestatore e utilizzatore finale, mentre è escluso che un’impresa possa reclutare e retribuire lavoratori per svolgere prestazioni a favore di terzi come nel caso dell’appalto e della somministrazione.
Tuttavia, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 318 dell’1 aprile 2014, ha sostenuto che non si rinvengono nella normativa vigente indicazioni che confinino la liceità del lavoro accessorio nell’ambito dell’utilizzazione diretta dei lavoratori da parte dell’utilizzatore con esclusione dei rapporti di appalto e somministrazione.