La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9654 del 6 maggio 2014, si è occupata del caso di un lavoratore licenziato per giusta causa per aver aggredito fisicamente un dirigente.
Nel caso di specie, nonostante i fatti, a seguito di querela, fossero stati oggetto di procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione, il Tribunale aveva ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore ritenendo che l'aggressione ai danni di un superiore gerarchico costituisse atto contrario alle norme della comune vita e del vivere civile e fosse idonea a far venir meno il rapporto di fiducia.
La causa è giunta in Cassazione e la Suprema Corte ha ribadito - in conformità al consolidato indirizzo giurisprudenziale – che il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità dello stesso all’imputato, ossia quando l’assoluzione sia stata pronunciata a norma dell’art. 530, 2° comma, c.p.p. (Cass. n. 25538 del 2013; Cass. n. 3376 del 2011; Cass. n. 5676 del 2010, Cass n. 20325 del 2006).
Quindi, concludono gli Ermellini, esclusa l'efficacia vincolante della sentenza penale nel giudizio civile, correttamente la Corte territoriale ha proceduto ad una autonoma valutazione del complesso probatorio in questione ai fini dell’accertamento della condotta del lavoratore e della sussistenza della giusta causa del licenziamento (in questo senso Cass. n. 13353 del 2012).