Con la sentenza n. 13145 dell'11 giugno 2014, la Corte di cassazione ha definitivamente confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano censurato il Fisco per aver notificato ad un contribuente un atto impositivo ai fini delle imposte dirette e dell'Iva per l'anno 1998 sulla base di un accertamento effettuato con l'utilizzo dei parametri previsti dal DPCM del 1996 e non determinando ricavi e redditi secondo gli studi di settore, per come richiesto dal contribuente medesimo in sede precontenziosa.
In particolare, l'agenzia delle Entrate aveva lamentato che, contrariamente all'assunto della sentenza d'appello, le risultanze derivanti dall'applicazione dei parametri assurgono a fonte di prova per presunzioni e invertono l'onere probatorio, ponendo a carico della parte contribuente di addurre allegazioni di contrario segno, senza che rilevino proposte e controproposte avanzate nella fase precontenziosa dell'accertamento per adesione.
Prevalenza rispetto ai parametri
Per contro, la Suprema corte ha ritenuto incensurabile la decisione impugnata secondo cui il reddito andava determinato avvalendosi dei cosiddetti studi di settore, introdotti ed entrati in vigore nell'anno 1998, rispetto ai parametri “attesa la natura più raffinata del nuovo mezzo di accertamento desumibile dalla normativa che lo ha introdotto”.
Nel caso di specie, inoltre, l'adozione di tali più adeguati strumenti di ricostruzione era stata accettata dall'Ufficio nel corso della fallita procedura di accertamento per adesione e con riferimento al cosiddetto ricavo o compenso di riferimento puntuale.
E tale circostanza costituiva riprova del fatto che l'accertamento standardizzato mediante l'applicazione degli studi di settore costituisce valido sistema di presunzioni semplici.