Il termine dei 60 giorni entro il quale non può essere emesso un atto di accertamento, dopo aver concluso il periodo di controllo, deve essere calcolato prendendo a riferimento il momento della notifica dell’atto al contribuente e non la data della sua sottoscrizione da parte del responsabile dell’ufficio.
Lo sancisce la Corte di cassazione nella sentenza 15648 depositata il 9 luglio 2014.
La decisione apre ad alcune perplessità, volendo più che altro evitare di far perdere di efficacia un atto impositivo, piuttosto che basarsi su un’interpretazione rigorosa della legge.
Il richiamo normativo, infatti, è all’articolo 12, comma 7, dello Statuto dei lavoratori che, di fatto, richiama espressamente il momento dell’emissione e non quello della notifica dell’atto, distinguendoli profondamente. Analogamente, la Corte non tiene, poi, conto anche delle Sezioni Unite, che hanno ritenuto non valido l’atto emesso ante tempum perché di fatto non garantisce il contraddittorio preventivo.
Nella sentenza, quindi, non si capisce perché si faccia riferimento al momento della notifica dell’atto dato che è con la sottoscrizione dell’atto impositivo che si determina l’impossibilità di un successivo contraddittorio.