Non può essere accusato del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di falsi documenti, di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, il contribuente che non ha conservato, nei registri aziendali e tra la documentazione fiscale, i documenti considerati non veritieri, anche se i relativi costi sono stati riportati in dichiarazione.
Lo precisa la Corte di Cassazione – terza sezione penale - nella sentenza n. 40198 depositata in data 29 settembre 2014.
Mancanza della prova del reato
Nel caso di specie la contestazione riguardava l’utilizzo di schede carburanti false da parte del rappresentate legale di una società, che sebbene utilizzate ai fini della compilazione della dichiarazione non erano rinvenute in contabilità.
La mancanza della prova da esibire nei confronti dell’Amministrazione finanziaria ha portato i Supremi giudici a ritenere insussistente il reato di dichiarazione fraudolenta – al massimo si potrebbe configurare quello di dichiarazione infedele previsto dall'articolo 4 dello stesso Dlgs 74/2000, al superamento delle previste soglie di punibilità – proprio in virtù dell’assenza di uno degli elementi costitutivi (conservazione della fatture e degli altri documenti nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda).
Si legge, così, nella sentenza che “per l’integrazione del reato, da una parte è necessario che la dichiarazione fiscale contenga effettivamente l’indicazione di elementi passivi fittizi e dall’altra è necessario che le fatture ideologicamente false, che dovrebbero supportare detta indicazione, siano conservate nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda, perché in ciò consiste l’atteggiamento di avvalersi delle fatture come richiesto dalla norma”.