Non può essere applicata dai Comuni la Tari ai magazzini e alle aree che sono “funzionalmente ed esclusivamente collegate all’attività produttiva” e per i quali spazi le aziende pagano già per lo smaltimento. Pertanto nei loro regolamenti, i Municipi possono solo ampliare i criteri di esclusione dalla tassazione includendo altri spazi aziendali, ma non possono, in alcun modo, proporre altri criteri che riducano le aree già escluse dal tributo.
La precisazione giunge direttamente dal Dipartimento delle Finanze del Mef che, con la nota prot. 38997 del 9 ottobre 2014, ha risposto ad una richiesta di chiarimenti avanzata da una società bergamasca.
Data l’importanza della materia trattata, la risposta ministeriale è stata inoltrata dalla Confindustria Bergamo e dalla Confindustria Brescia a tutti i Comuni delle due Province, con la conseguenza che essa sembra ora destinata a rimettere in discussione molti regolamenti locali sulla Tari.
Il problema, infatti, è di interesse nazionale dato che non sono sempre ben definiti i confini di applicazione della Tari nelle diverse aree produttive di una impresa.
Nuovi limiti
Con la risposta in oggetto, dunque, il Ministero ha voluto proprio fissare un principio generale valido su tutto il territorio nazionale, secondo il quale sono da escludere dal tributo tutte le aree asservite al ciclo produttivo, nelle quali si generano in via continuativa e prevalente rifiuti speciali.
Pertanto, non si potrà applicare la Tari né ai magazzini intermedi di produzione, né ai magazzini utilizzati per lo stoccaggio dei prodotti finiti e tanto meno nelle aree scoperte, che hanno però le stesse caratteristiche.
Ciò è possibile proprio perché i regolamenti comunali prevedono che il Comune possa solo “individuare ulteriori aree escluse dall’assimilazione, e quindi dalla tassazione” e in tal modo si evita il rischio di incorrere in “ingiustificate duplicazioni di costi”.