Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza n. 5779 del 24 novembre 2014, ha confermato il suo indirizzo (Cons. Stato, Sez. VI, n. 863 del 2014) secondo cui l’esigenza della tutela della riservatezza dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva:
- assume una particolare rilevanza “volta sia a prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del datore di lavoro, sia a preservare, in un contesto più ampio, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro”;
- ciò alla luce della normativa costituzionale ed europea (art. 4, 32 e 36 Cost. e art. 8 CEDU), nonché in base all’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 1970), per cui si deve ritenere “in via generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall'ordinamento alle esigenze di riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni”;
- non essendo peraltro l’ostensione dei detti documenti indispensabile per curare o difendere gli interessi giuridicamente rilevanti dei datori di lavoro, considerato che la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni loro contestati risulta di norma assicurata dal verbale di accertamento relativo alle dette dichiarazioni, ferma la possibilità, in ultima istanza, di ottenere accertamenti istruttori in giudizio;
- costituendo “la prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni rispetto alla tutela garantita dall’art. 24, comma 7, della Legge n. 241 del 1990…un principio generale che, come tale, opera a prescindere dalla circostanza che l’istante sia o meno il datore di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni”.
Stante quanto sopra è stato confermato il divieto di accesso alle dichiarazioni dei lavoratori al datore di lavoro ispezionato e sanzionato.